Piero della Francesca

(Sansepolcro, 1415 ca. – Sansepolcro, 12 ottobre 1492)

Opere di Piero della Francesca
in alta definizione

La flagellazione di Cristo

La flagellazione di Cristo di Piero Della Francesca, la cui datazione si collocherebbe intorno alla metà del 1400, è una Tavola 59×81,5 conservata a Urbino in quella Galleria Nazionale, che fu il Palazzo del duca Federico da Montefeltro. Ancora oggi la tavola, desta curiosità ed interesse per via della quantità di ipotesi circa la sua interpretazione. In questo piccolo capolavoro Piero della Francesca, rappresenta con straordinaria capacità di controllo geometrico dei volumi architettonici e degli spazi, un loggiato dove, a sinistra, è raffigurato un uomo seduto su di un trono (Pilato?), davanti il quale si svolge la flagellazione del Cristo. Il Cristo appare legato ad una colonna sormontata da una statua, che raffigura il Sole. Di spalle, uno dei presenti alla scena, possiede un turbante.
A destra, in primo piano, tre personaggi. Nell’ordine da sinistra si tratta di un uomo con la barba abbigliato all’orientale, uno al centro di giovane aspetto, biondo e scalzo e infine quello a destra, vestito con un abito elegante in broccato. L’identificazione dei tre ancora oggi non è data per certa. Sicuramente però, indipendentemente dalla validità di una o dell’altra delle tesi sostenute, siamo di fronte ad un’opera dall’enorme portata rivoluzionaria, dove sono riportati all’interno della stessa composizione, il Cristo nel momento della Flagellazione e in primo piano alcuni uomini, contemporanei all’epoca dell’autore. È, per fare un esempio, come se avessimo di fronte un’opera in cui vengano mostrati la scena reale della flagellazione cui fu sottoposto Gesù e, contemporaneamente, alcuni uomini in giacca e cravatta, a noi contemporanei. Inoltre, si tratta molto probabilmente della raffigurazione di personaggi noti agli uomini del tempo.
Una delle interpretazioni più note è quella proposta dal Longhi nel 1927. Lo studioso qualificava la figura al centro con il fratellastro di Federico duca d’Urbino, e cioè Oddantonio da Montefeltro, ch’era successo al padre Guidantonio nel 1443 quando il papa Eugenio IV gli aveva concesso il titolo di Duca di Urbino. Pare, che una notte del 1444, Oddantonio rimase vittima di un agguato mortale all’interno del Palazzo Ducale di Urbino. Assieme a lui i suoi due consiglieri, che, secondo l’interpretazione sarebbero stati posti da Piero ai lati di Oddantonio ed identificati come i reali responsabili della politica impopolare attribuita ad Oddantonio.
Quindi la flagellazione sarebbe dovuta essere addirittura un riferimento alla condizione di Oddantonio, tradito e ucciso. Tale interpretazione oggi è superata per via di alcune considerazioni derivanti sia dall’approfondimento storico su Oddantonio sia dal fatto che un tale riferimento avrebbe suscitato disappunto da parte della Chiesa. Un’altra lettura proposta in passato, più conforme ad un carattere religioso dell’opera, vedeva invece addirittura un angelo nella figura al centro ed in quelle ai lati la chiesa latina e la chiesa ortodossa.
A tali interpretazioni “classiche” seguirono a partire dagli anni 1950 altre spiegazioni. Una di queste proponeva che nella tavola esistesse un riferimento preciso a due fatti storici, e precisamente: la caduta di Costantinopoli del 1453, e il concilio di Mantova del 1459. Una scritta non più esistente che precedentemente compariva in basso, nella cornice, riportava la frase “Convenerunt in unum” ed andava, a detta del critico, interpretata come un invito all’alleanza contro i Turchi. A tale lettura ne seguì un’altra, da parte di uno studioso mirante ad identificare nell’uomo di sinistra il cardinale Bessarione, e in quello di destra l’umanista Giovanni Bacci, in atteggiamento di chiedere a Federico da Montefeltro – Duca d’Urbino-, di partecipare alla crociata contro i Turchi. In tale contesto la scena posta sullo sfondo sarebbe stata inserita quale riferimento alle sofferenze patite dai greci per via dell’oppressione dei turchi.
Di recente, si è portata avanti una nuova interpretazione diffusa attraverso una pubblicazione di notevole successo, che, pur confermando l’identificazione nell’uomo di destra con Bessarione, propone una diversa identità per quello di sinistra, visto come Niccolò III d’Este (1384-1441), padrone di casa del concilio di Ferrara e Firenze nel 1438-39. Nel giovane biondo secondo tale ipotesi, si dovrebbe raffigurare invece Tommaso Paleologo, fratello dell’imperatore bizantino Giovanni Paleologo rappresentato nella tavola nel ruolo di Pilato, seduto, con calzature color porpora, simbolo imperiale, venuto in Italia nel 1460, esule dalla Morea occupata dai turchi, per chiedere aiuto ai latini. La figura con il turbante che assiste alla scena, sarebbe il sultano turco. Un messaggio politico dunque, sarebbe alla base della composizione, lanciato da parte di Giovanni Bessarione, (delegato bizantino che aprì il Concilio di Ferrara e Firenze), tra l’altro identificato come probabile committente dell’opera. Tale messaggio di tipo politico sarebbe da inserire nel desiderio di sollecitare la riunificazione delle chiese orientali e occidentali. La scena della flagellazione in tale contesto dunque rappresenterebbe sia la lontana Bisanzio allora assediata dai musulmani, ed in senso più ampio la cristianità intera.
Questi approfondimenti, compiuti nel 2006 ad opera di una illustre studiosa, hanno condotto ad una delle letture interpretative più attente rispetto al contesto storico e politico per fornire i giusti spunti per l’identificazione dei personaggi presenti. Pur essendo affascinanti e rilevanti le conclusioni cui si è giunti nell’ambito di questa lettura, e pur essendo considerevole l’apporto innovativo da essa fornito, si potrebbe anche ipotizzare, una ulteriore spiegazione circa la presenza della scena della flagellazione di Cristo, la cui chiave di lettura non concentrandosi al solo aspetto politico, si potrebbe estendere anche ad altri contenuti.
Probabilmente, per comprendere ancora più a fondo la metafora espressa in questa tavola, si dovrebbe infatti scavare nella religiosità di un autore del quale solo poche notizie sono pervenute, per inquadrarlo sotto il punto di vista umano oltre che artistico. Per comprendere appieno il significato dell’opera si dovrebbero avere a disposizione delle fonti riguardanti la personalità di Piero sotto il punto di vista delle le sue intime convinzioni religiose. Se se ne scoprissero tali lati, si potrebbe addirittura propendere per un tipo di interpretazione che, senza togliere in alcun modo validità alle precedenti, vedrebbe espressa proprio il suo senso religioso, nel quadro.
Collocando l’episodio della flagellazione del Cristo forzatamente in uno spazio condiviso e dunque analogo a quello dei suoi contemporanei, l’autore pur confermando che il fatto – cioè la flagellazione- sia avvenuto in un determinato momento storico, potrebbe essere giunto contemporaneamente a negarne la “storicizzazione”. Negare la storicizzazione non significa negare che il fatto sia avvenuto, ma significa sottolineare che quel fatto è collocabile in qualsiasi momento storico, anche in quello contemporaneo a quello dell’autore dell’opera, poiché è valido sempre; essendo entrato a far parte del sacro, esso non ha tempo, è un fatto storico ma nello stesso tempo è atemporale. La flagellazione infatti, accade nella più completa indifferenza dei tre uomini, che pur condividendo il medesimo spazio reale dove si compie il fatto, sembra non si accorgano nemmeno di quel che sta succedendo a pochi passi da loro. Quei pochi passi, in realtà potrebbero rappresentare la distanza tra il tempo e l’atemporalità, cioè una distanza talmente enorme da non rendere possibile una comunicazione tra le entità che si trovano a condividerlo.
Nel quadro “La flagellazione di Cristo” pertanto si indicherebbe che la flagellazione è un episodio da collocarsi al di fuori della storia, poiché è l’essere divino stesso ad esserne al di sopra. L’atto che sullo sfondo viene rappresentato, pur essendo in riferimento ad un fatto avvenuto (e quindi, storico), è in realtà un atto unico, collocabile in qualsiasi tempo, e, proprio in virtù di tale qualità assurge a valore eterno. Tale ipotesi del resto non sarebbe inconciliabile con quelle precedentemente esposte elaborate ad opera di illustri critici, dal momento che sovente più di un contenuto simbolico si è voluto profondere all’interno delle opere artistiche. In tale contesto si potrebbe anche fornire un’ulteriore chiave interpretativa della frase che in passato, (sembra almeno fino al 1839) si leggeva in basso a destra sotto i tre personaggi in primo piano, e cioè quel “convenerunt in unum”, tratta dal Salmo II, e poi riferita proprio alla Passione di Cristo (fa infatti parte del servizio del Venerdì Santo).
Questo riferimento al Salmo, probabilmente servì all’autore per comunicare la centralità, nella interpretazione del messaggio complessivo dell’opera, della scena della Flagellazione. La frase completa è “Adstiterunt reges terrae et principes convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius”, che tradotta orientativamente potrebbe significare: ”i Re e i Principi”, che rappresentano il potere, si “sedettero” (astiterunt”) nel senso che “si riunirono solennemente”, e “convennero”  (“in unum”, è da intendersi in un sol posto oppure ad una unanime decisione), contro, il Signore e contro il suo Cristo. La frase riporta infatti “Christum eius”. Spicca quell’eius, che serve a sottolineare che Cristo è appartenente all’essere Divino.