James Ensor

(Ostenda, 13 aprile 1860 – Ostenda, 19 novembre 1949)

Il termine espressionismo è stato usato per la prima volta in Germania nel 1911, in una rivista intitolata “Sturm”, tempesta, e come una tempesta investì il contesto artistico europeo con una forza dirompente pari a quella che pochi anni prima aveva consentito il dilagare del fenomeno dell’impressionismo. L’artista belga Ensor, ne fu senza dubbio insieme al norvegese Munch, un anticipatore.
La tendenza tuttavia si svilupperà prevalentemente in Germania e produrrà un’arte diversa dalla precedente, rappresentativa sì del sentimento individuale dell’artista, ma anche soprattutto di un disagio dell’intera collettività. Tale caratteristica favorisce la capacità di rendere sempre attuale il messaggio di molte opere concepite in seno all’espressionismo. Altra caratteristica sarà la rottura con il precedente ruolo affidato all’arte di imitazione della natura. In fondo gli ultimi imitatori della natura furono proprio gli impressionisti, anche se da loro partì la spinta al rinnovamento radicale dell’arte in senso contemporaneo.
Afferma Adorno che “il concetto di Arte=espressione nasce quando si scinde l’attività artistica, come frutto della sensibilità, da quella scientifico-filosofica, come frutto della ragione (…) storicamente dunque il termine espressionismo, trova la sua applicazione più esatta soltanto da quegli artisti che, a partire dagli inizi del ‘900, sostengono l’assoluta priorità dell’espressione del sentimento individuale sull’imitazione della natura”.
Le opere di Ensor, sono così profondamente innovatrici che non è difficile leggerle anche alla luce di ciò che accade ancora oggi… l’attualità di un’opera come “L’ingresso di Cristo a Bruxelles” del 1888, è sconvolgente se consideriamo alcuni aspetti.
Il dipinto si riferisce ad un noto episodio dei Vangeli, quello che narra l’entrata di Gesù a Gerusalemme. L’episodio viene dall’artista decontestualizzato e attualizzato: Ensor infatti immagina l’ingresso di Gesù a Bruxelles circondato non da una folla festante per il suo arrivo, ma da una moltitudine di persone rese irriconoscibili da orribili maschere che, pur nascondendo le loro fattezze ne rivelano spietatamente la vera identità.
Il Cristo, che dovrebbe essere il protagonista del dipinto, è di difficile individuazione, quasi nascosto dal prevalere della massa che non esprime affatto una sincera partecipazione all’evento ma appare anzi distratta, presa più dal tumulto della festa che dall’oggetto al quale essa si rivolge. Spicca la presenza di una banda musicale, preceduta da un generale che ostenta le sue medaglie. Emergono inoltre prepotentemente delle scritte, che come degli slogan pubblicitari, catturano l’attenzione del pubblico. Gesù, l’unico con fattezze umane occupa un punto centrale della composizione, tuttavia è solo appena riconoscibile per via dell’aureola che ha sul capo.
I colori contrastanti, la negazione di un impianto prospettico, il disordine della composizione complessiva e la tematica sviluppata, mirano a rendere una sensazione di disagio nello spettatore che diventa quasi parte di quella massa caotica. Il dipinto quindi è una denuncia che l’artista vuole rendere contro la società del suo tempo che si lascia facilmente coinvolgere dagli strumenti di potere, dalla propaganda senza riflettere sul vero senso della propria partecipazione. La collocazione temporale del dipinto, il 1888, rende ad Ensor la capacità di avere intuito le responsabilità che la società del suo tempo ebbe sullo sviluppo degli eventi futuri. Di lì a poco si detteranno infatti le premesse di carattere socio-politico per la prima guerra mondiale.