Jan Vermeer
(Delft, 31 ottobre 1632 – Delft, 15 dicembre 1675)
accende la luce di un vivere il quotidiano
Nato a Deft, nel 1632, l’olandese Jan Vermeer si formò nell’ambito di quell’osannata arte fiamminga del ‘600, dalla quale però si distaccò ben presto per assumere un linguaggio proprio e originale. Figlio di un tessitore di quel preziosissimo tessuto che è la seta, l’artista alla morte del padre ne acquisì le attività intraprese, tra le quali quella di mercante d’arte e di locandiere. La moglie di Jan, che gli diede ben 14 figli, era figlia di una donna molto ricca, e quando decisero di trasferirsi nella casa materna, Vermeer grazie ad una rendita concessagli dalla suocera, poté dedicare tutto il suo tempo alla pittura.
Pochi in realtà i dipinti prodotti, circa 66 stando alle attribuzioni fatte fin ora ma solo 16 autografi….. A Vermeer infatti occorreva molto tempo per realizzarne uno, vista la cura per ogni piccolo particolare e per la resa perfetta della luce degli ambienti. Nel 1653 l’artista fu ammesso alla Gilda di San Luca, nota corporazione di pittori che favorì la sua carriera artistica permettendogli di esibire le sue opere e venderle.
Purtroppo eventi storici poco favorevoli, come l’invasione della Repubblica Olandese da parte dei francesi, condussero Vermeer alla bancarotta, e, da quello che si evince da un documento della moglie, i disagi economici e i debiti contratti portarono il pittore alla morte poco più che quarantenne.
Molti suoi dipinti furono venduti dalla sua stessa famiglia per potere far fronte ai momenti di difficoltà…. oggi è uno dei pittori più apprezzati e quotati e il suo dipinto, noto con il titolo “Ragazza con l’orecchino di perla” è diventato uno dei ritratti più famosi.
Certamente la notorietà di Vermeer deriva da una elevatissima capacità tecnica sposata ad una giusta scelta dei soggetti e degli ambienti. Ma quello che maggiormente rende unici i dipinti di Vermeer è il modo in cui la luce rivela gli oggetti.
Davanti ad un dipinto di Vermeer l’osservatore diventa spettatore. Pare quasi di affacciarsi in una realtà del passato e sentirsi veramente lì, come se si potesse davvero osservare una fotografia del 1600. Si sa che l’artista utilizzò per realizzare le sue composizioni la camera oscura, una sorta di antenata della macchina fotografica resa disponibile in un tempo in cui non erano ancora stati scoperte le proprietà dei materiali fotosensibili…. Ma questo non può giustificare la magia di un viaggio nel tempo, quella che è garantita dall’uso che Vermeer sapeva fare della luce.
Sì, la luce, come quella che filtra nelle nostre stanze la mattina, come quella che illumina anche per noi un volto amato, come quella che si posa nei nostri oggetti quotidiani. Oggi come allora. Questo riconosciamo in Vermeer, la sua capacità di restituirci un’atmosfera, che se anche ci rivela un mondo passato, ci mette nelle condizioni di comprendere la nascosta poesia che appartiene anche al nostro vivere quotidiano.
Anche in questo, oltre all’indiscutibile bellezza dei dipinti prodotti, sta forse il successo che Vermeer riscuote tra i contemporanei…. E dire che il pittore venne riscoperto solo nella II metà del 1800 da un critico d’arte francese Thorè-Burger, dopo ben 2 secoli d’oblio.