Francisco Goya
(Fuendetodos, 30 marzo 1746 – Bordeaux, 16 aprile 1828)
L’arte e Goya – un viaggio nell’insondabile animo umano
Con Francisco Goya l’arte diventa un mezzo, per sondare le vere reazioni dell’animo umano dinnanzi al succedersi degli eventi. Non importa quanto esso sia diretto, è un mezzo. In questo senso la sua arte, che molti ritengono essere al di fuori dei canoni espressi dal suo contesto, storico e geografico, risulta essere profondamente concorde ai fermenti dell’epoca.
Un’epoca, la fine del 1700, che reca in sé tutti gli elementi che condurranno alla elaborazione dell’arte in senso moderno. Goya è anzi forse lo specchio più autentico di questa sua epoca, che è insieme frutto dell’illuminismo e allo stesso modo madre della corrente romantica. Nell’ambito degli studi fatti sul percorso artistico dell’artista, si è asserito che in certi suoi dipinti Goya precorre addirittura il realismo. Ci si riferisce in questo caso alle spaventose rappresentazioni pittoriche dove appaiono dei mostri che scaturiscono dal suo animo inquieto, viste non come fantastiche evocazioni, ma come risultato di una indagine reale, da lui stesso condotta, all’interno del suo animo. Il nodo della questione sta nel saper riconoscere, e quindi visualizzare il personale percorso artistico, all’interno del binomio sentimento e ragione. La risposta a tale quesito si trova forse proprio in una delle sue opere più famose: “Il sonno della ragione genera mostri”, una piccola acquaforte di 21×15 cm., del 1799.
La ragione è dunque presente come elemento essenziale per riconoscere, per sondare, per rispondere addirittura alle esigenze del sentimento. Del resto come ha affermato G. C. Argan, nel suo testo “L’arte moderna” “… soltanto dal punto di vista della ragione si può porre il problema di ciò che l’oltrepassa”. Goya è sì influenzato dall’arte di El Greco, ma ne diventa lucido interprete, è l’estasi si trasforma in visione deformata, il sogno diventa incubo. Il realismo di Goya dunque non si innesta nell’ambito della ricerca della rappresentazione della realtà, ma va oltre. Goya comprende che il vero realismo non può che essere innaturalistico. In questo senso le pitture più realistiche di Goya, saranno quelle realizzate nelle pareti della sua ultima abitazione presso Madrid, la “Quinta del sordo”.
Lì, si sente libero di esprimere in tutta la più evidente realtà le più recondite paure, le più orride pulsioni che per anni ha cercato negli altri e dentro sé. Goya le trova e le respinge dipingendole nelle pareti, ovunque intorno a sé. Ha bisogno di materializzare i suoi incubi. Guardarli in faccia. Solo così li esorcizza. Solo così spera di liberarsi.
Goya è profondamente uomo in questo e spinge agli estremi quella tendenza alla individualità che stride contro la dimensione collettiva. Quell’irrisolto rapporto tra individuo e collettività che è alla base della contraddizione di neoclassicismo e romanticismo.
Alla luce di queste riflessioni è possibile inquadrare il significato di un’opera straordinaria per l’epoca come “Los fusilamientos”, del 1808. La guerra viene vissuta come orrore, disfacimento della forma a favore di quello che il sentimento vuole esprimere. La forma, si piega all’espressione. Cosa si coglie nell’immediato? La paura, non l’eroismo che solo pochi anni prima aveva esaltato David nelle sue opere. E questa paura non rende nemmeno i personaggi più umani. Li mostra in tutta la loro evidente debolezza. Posseggono, questi personaggi, gli stessi volti che Goya ci ha mostrato nei ritratti dei Reali. Quei visi goffi, deformati dal loro essere che traspare all’esterno. L’uomo è visto sempre, sia esso un Reale o un Rivoluzionario che lotta per la sua terra, un essere umano con le sue debolezze, immerso nella sua componente terrena che a volte lo ridicolizza, lo riduce ad una maschera grottesca. E così, se nell’opera “Los fusilamientos” i soldati sono addirittura senza un volto, perché privi di anima, nell’eseguire un comando senza utilizzare la ragione, anche le vittime, pur mostrando sentimenti, ci appaiono come maschere tragiche di un destino che non hanno voluto, e che quindi non possono accettare con eroismo.
Brevi cenni biografici
Francisco de Goya Lucientes, nato a Fuendetodos, presso Saragozza, nel 1746, fu primo pittore della Corte dei Reali di Spagna. Realizzò in questo contesto numerosissimi dipinti, di grandi dimensioni, dove ritraeva le famiglie reali e i personaggi di spicco dell’epoca, con particolare attenzione ai particolari e con pose ben studiate. I personaggi si mettevano in posa, e senza dubbio non immaginavano nemmeno di potere essere messi a nudo, scoperti, traditi nella loro intima verità pur dentro le loro corazze, fatte di abiti ricchi e sontuosi, fatte di atteggiamenti artefatti e di pose convenzionali. Goya, soleva studiare ad uno ad uno coloro che doveva ritrarre nelle composizioni di gruppo. Ne analizzava i caratteri per poi cogliere meglio simultaneamente le loro espressioni quando si sarebbe trovato davanti alla scena da ritrarre. Quello che stupisce inoltre è come mai i suoi “soggetti” non si sentissero in qualche modo infastiditi dall’essere colti così. La risposta è che i reali adoravano Goya.
E. H. Gombrich in “La Storia dell’arte” scrive: “I ritratti di Goya superficialmente appaiono simili i tradizionali ritratti ufficiali di Van Dyck o di Reynolds. L’abilità con cui evocava lo splendore della seta e dell’oro ricorda Tiziano o Velàzquez”. Forse ai reali non mancava la capacità di comprendere la spietata verità che Goya amava mettere in scena nelle sue rappresentazioni pittoriche, ma questo aspetto non era sufficiente per rinunciare ad essere resi immortali da un artista che già sapevano essere grande. Forse inoltre il fatto che Goya li rappresentasse con le loro vere fattezze, espressioni a parte, doveva anche non poco gratificarli.
I primi rudimenti di pittura vennero appresi da Goya già all’età di 15 anni, a Saragozza e a 17 anni si vede Goya partecipare già ad un concorso della Reale Accademia di belle arti di Madrid, pur senza successo. Sarà il cognato di Goya, Francisco Bayeu, a procurare al giovane artista l’ingresso nel mondo dell’arte madrileno. Non aveva ancora compiuto 30 anni quando fu compreso tra coloro che dovevano preparare i cartoni per gli arazzi della Real fabbrica de Tapices St. Barbara, sotto la direzione di A. R. Mengs. Il primo incarico importante, nel 1783, il ritratto al Conte Floridablanc, primo Ministro di Carlo III, aprì le porte a Goya alla sua fulgida carriera.
Una delle opere più celebri di Goya è la Maya. Questo dipinto oltre a dipingere una donna del tempo (la duchessa D’Alba, di cui Goya era innamorato…), vestuda e denuda, coglie una curiosa moda del tempo che vedeva alcune nobildonne appassionarsi nel vestirsi con abiti di popolane, appropriandosi delle loro tipiche gestualità.
Al culmine della sua carriera Goya entrò in uno stato di depressione dovuto ad una serie di lutti che avevano colpito la sua famiglia, perse infatti 5 dei suoi 6 figli. Successivamente, ripresosi fu nominato direttore della sezione di pittura all’Accademia. Il periodo della guarigione vede anche la produzione di alcuni particolarissimi quadri, di dimensione ridotta dove si esprime in maniera inconsueta e totalmente spontanea. Il periodo successivo, che lo vede ospite della sua amata duchessa D’Alba, è dedicato alle opere di incisione che furono poi riunite nel 1799 con il nome Caprichos. Nel 1802 muore la sua amata duchessa…Il 2 Maggio del 1808, fu testimone di uno scontro tra ribelli e mamelucchi alla Puerta del sol.
La guerra contro Napoleone lo ispirò nelle opere relative alle atrocità della guerra, da cui nacquero i Desastres de le guerra.
Con la caduta di Godoy, e in conseguenza dell’alternarsi delle vicende politiche anche la sua attività verrà meno. Diviene sordo per una malattia che nemmeno i medici seppero spiegarsi, e dimessosi nel 1826 dall’ufficio di pittore di corte che aveva comunque sempre mantenuto anche quando era passato a dipingere per Godoy, muore dopo poco tempo a Bordeaux, nel 1828. Con Goya muore non solo un protagonista dell’arte del suo tempo, ma anche un personaggio che seppe influenzare gli sviluppi futuri dell’arte contemporanea, conducendo addirittura all’espressionismo e perché no, anche al surrealismo.