Gustave Courbet

(Ornans, 10 giugno 1819 – La Tour de Peilz, 31 dicembre 1877)

Maledetto realista

Opere di Gustave Courbet
in alta definizione
G. Courbet, Autoritratto o Uomo disperato, 1843, Nasjonalgalleriet di Oslo

Questo dipinto di Courbet esemplifica in modo straordinario la sua poetica artistica: sembra infatti che l’artista sgrani gli occhi per osservare meglio la realtà, in tutta la sua crudezza, banalità o orrore. Un uomo ossessionato dalla realtà, ecco come appare, in questo autoritratto del 1843, quando ancora tuttavia non era avvenuta la svolta artistica che lo condurrà di lì a poco, a dar vita alla nota corrente del realismo. Gustave Courbet nasce a Ornans, nella Franca Contea, nel 1819. Figlio di una benestante famiglia di origine contadina, si avvicina al mondo dell’arte nell’ambito del romanticismo, dal quale si distaccherà presto per adeguarsi al clima di reazione all’idealismo, che la coeva corrente del Romanticismo, portava avanti. Nel 1848 la rivoluzione di Febbraio porterà alla proclamazione della II Repubblica in Francia. È un periodo denso di fermenti culturali. Courbet espone al Salon nel 1851 la sua prima celebre opera: “Il funerale di Ornans” del 1849. Dimostra così, di non essere ostile ai meccanismi utili a portare alla ribalta i giovani artisti, ma si propone in modo nuovo ed originale. Il dipinto infatti, nella sua monumentalità, esibisce persone del popolo, in un momento di dolore, senza alcuna idealizzazione né per il loro aspetto, né per i sentimenti che mostrano. La realtà dell’evento è riprodotta senza enfasi, e senza richiedere alcuna partecipazione emotiva all’osservatore, che resta indifferente, proprio come chi a volte mostra di restare indifferente di fronte ad una analoga situazione, che non lo colpisce direttamente.
Courbet si appassiona alle idee del Filosofo Proudhon e matura il suo personale linguaggio artistico, in modo per certi versi affine ai coevi sviluppi della letteratura (vedi Zola, Flaubert e Balzac).
Intanto, con il passar del tempo definisce meglio la sua poetica. L’accademia delle belle arti, che sosteneva le tematiche governative, comincia ad essere decisamente mal vista dal pittore, che aveva cominciato a sviluppare una coscienza anticapitalistica, ritenendo certa parte della borghesia responsabile delle condizioni disagiate di gran parte della popolazione.
La sua personalità è dominata da un atteggiamento di integrità tale, da apparire addirittura inflessibile. Rifiuterà nel 1870 addirittura la Legion d’Onore, massima onorificenza francese, ritenendo di doverla rifiutare perché l’onore sta negli atti che si compiono, e non può risiedere in un titolo.
Il maledetto realista, come amava lui stesso definirsi, segna per l’arte europea una svolta decisiva, verso un nuovo modo di vedere la figura dell’artista, e le cose che realizza. “Fai quello che senti, che vedi, che vuoi”, uno dei quattro principi cui raccomanda di attenersi, è in fondo più di un semplice motto. È il cardine attorno al quale ruoterà d’ora in poi il modo di fare arte in Europa. Viene portato prepotentemente alla ribalta il modo di “sentire” dell’artista, che nel realismo sappiamo assumere un atteggiamento distaccato dal soggetto trattato, ma che indubbiamente parte da un fare proprio un certo argomento. Un tema adesso può essere trattato perché scelto. Il “quel che vedi”, invece, deve considerato in rapporto al tangibile. Questo perché il periodo storico lo richiede, e perché gli eventi portano l’uomo a sentire il bisogno della tangibilità, dopo tanti sogni infranti, dopo il periodo delle illusioni del romanticismo. La tangibilità deve essere espressa anche nella tecnica pittorica, per questo Courbet adegua, da un certo momento in poi, la sua pennellata a questo concetto. La tecnica diventa un mezzo per rappresentare la realtà con la sua durezza, con le sue asperità, con i suoi reali colori (mescola il colore con la sabbia, usa la spatola per dare rilievo, conferendo materia alla superficie).
Con la “riproduzione oggettiva della realtà”, l’artista si vuol fare interprete anche di questa nuova esigenza collettiva. E lo fa con un atteggiamento nuovo anche nel proporsi. Si inizia il tempo delle iniziative espositive autofinanziate, libere dai vincoli dei Salon e delle Accademie. Si improvvisano esposizioni autonome, in rustici capanni, come appunto quella del padiglione del realismo di Courbet, che segna di fatto la nascita del “realismo”. È lo stesso testo di presentazione della mostra del 1855 che esemplifica, in poche parole, l’intento dell’artista: rappresentare i costumi, il pensiero, gli aspetti della sua epoca, secondo il suo modo di vedere… “fare dell’arte viva, questo è il mio scopo” amava affermare. Non cerca gloria Gustave, cerca il confronto circa i nuovi temi dell’arte.
Trova, come sempre accade quando si portano avanti concetti innovativi, tanta diffidenza, ma anche una folta schiera di artisti disposti a seguirlo. Fonda una specie di scuola, anche se lui è contrario a qualsiasi forma di imposizione nell’arte. Invita semplicemente i frequentatori ad osservarlo mentre dipinge. Invita i suoi colleghi a rappresentare ciò che possono vedere e toccare perché ogni epoca deve poter essere rappresentata solo da chi quella determinata epoca, la vive.
Pensare che il talento di Courbet si nutra però solamente della sua personale ispirazione sarebbe sbagliato. Il suo linguaggio si avvale invece di una profonda conoscenza di alcuni noti artisti del passato, come Tiziano, Rembrandt o anche Caravaggio, che sono stati fondamentali nella sua formazione. Courbet è certo che la rappresentazione della realtà da parte dell’artista, non può escludere la conoscenza di chi ha fatto la storia dell’arte. Ecco perché Courbet viaggia molto e studia, pur essendo convinto della necessità del non imitare l’arte del passato, ma di rappresentare ciò che appartiene al proprio tempo. Le opere più note di Courbet, oltre al citato funerale di Ornans sono “Gli spaccapietre” del 1849, “L’Atelier” del 1855 dove  rappresenta se stesso nel suo studio, insieme ai suoi più cari amici tra cui Baudelaire, e il dipinto “Fanciulle in riva alla Senna” del 1857. Mentre nei dipinti raffiguranti gli spaccapietre non vi è equivoco. Si tratta di uomini dediti a compiere un lavoro umile e faticoso, per le “Fanciulle” scoppia quasi uno scandalo. Il pubblico dell’epoca abituato alla bellezza si sentono presi in giro quando si accorgono della ostentata mancanza di grazia nella postura e nelle espressioni delle due giovani distese presso la riva della Senna. Per gli osservatori non c’è possibilità di identificazione. L’artista del resto, non cerca il coinvolgimento emotivo del pubblico ma vuole semplicemente mostrare un aspetto della realtà. Le fanciulle, in abiti contemporanei, presso un noto tratto del fiume, sono forse due prostitute, si comincia a favoleggiare. Ma forse non era questa l’intenzione di Courbet, era invece quella di fare riflettere sul tema dei luoghi comuni, per cui ci si aspetta che virtù e bellezza camminino necessariamente, sempre insieme.
Quando cade Napoleone III, Courbet diventa presidente della Commissione di belle Arti. In questo contesto suggerisce di smontare (non abbattere) la colonna Vendome di Parigi, che era stata eretta in onore di Napoleone nel 1810, e che rappresentava per lui un simbolo di oppressione. In seguito a tale episodio viene condannato a risarcire una cifra per lui elevatissima. Pertanto la personale partecipazione da parte dell’artista all’esperienza della Comune di Parigi nel 1870, comportò oltre all’arresto per sei mesi, anche il suo trasferimento in Svizzera. Courbet muore all’età di 59 anni a causa di una malattia, in povertà, ma senza aver mai tradito i suoi principi di libertà. “Quando sarò morto– affermò- voglio che questo si dica di me: Non ha fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: l’unica cosa a cui è appartenuto è stata la libertà”.