Alberto Burri

(Città di Castello, 12 marzo 1915 – Nizza, 13 febbraio 1995)

Esistono ferite dell’anima, non meno concrete di quelle fisiche. Darne consistenza materica, può significare portarle fuori da sé. Questa è la sensazione che provo quando guardo un’opera di Burri. Vedo una ferita dell’anima che si fa materia, con tutte le sue pieghe, concrezioni, distorsioni, squarci, scollature. Analizzare la genesi di un percorso artistico, il contesto storico-culturale in cui l’artista operò, può non bastare per capire l’essenza di una sua composizione. Bisogna scavare. Comprendere la sottile inquietudine che pian piano diventa quell’impetuoso moto dell’anima che emerge in una qualsiasi delle sue opere.
Alberto Burri, nato a Città di Castello il 12 marzo 1915 muore a Nizza il 13 febbraio 1995. Abbandona la sua professione medica per dedicarsi a tempo pieno alla sua arte. Negli anni 1950 aderisce al gruppo “Origine” al quale partecipavano anche E. Colla e G. Capogrossi. Ispiratore della corrente New Dada americana, Burri, divenne famoso inizialmente per i suoi “sacchi”; successivamente, altri materiali vennero da lui considerati nelle sue composizioni, così alle serie dei sacchi si aggiunsero le serie dei “catrami”, delle “muffe” ecc…. Nel 1953, a Chicago, si svolse una sua prima mostra di dipinti e collage. Successivamente le sue opere vennero anche esposte al MoMA di New York, e a San Francisco.
Al 1955 si attestano le prime opere caratterizzate dalle “Combustioni” dove i materiali, o per meglio dire, “la materia” viene plasmata, alterata, bruciata direttamente con il fuoco. Nel 1958 compaiono i primi “Ferri”. La materia che Burri utilizza nelle sua composizioni, è spesso logorata dall’uso e dal tempo, e questa caratteristica Burri la esibisce volutamente. Tutto contribuisce a fornire elementi di lettura di una sorta di trama spaziale che emerge in molte delle sue creazioni.
Alla Sicilia Burri ha regalato una delle sue opere più emblematiche, il “Cretto” di Gibellina, straordinaria opera a scala paesistica dove imprigiona, destinandoli ad essere un monumento alla memoria, i ruderi di parte della città colpita dal terremoto. Il cretto si percorre, e insieme è rievocazione di un evento e consolidamento di una memoria. Attraverso il percorso ci si può immedesimare nella tragedia collettiva del terremoto, e si percepisce un senso di labirintico disorientamento nel bianco accecante delle sue forme. L’uomo che lo percorre e il suo sgomento diventa parte stessa dell’opera. Quella puntina colorata, che dall’altro si vede muoversi all’interno del cretto, è parte stessa dell’opera. Una esperienza artistica che l’autore condivide con il fruitore e che contempla il suo muoversi, il sentire, il vedere.