Giotto

(Vespignano, 1267 – Firenze, 8 gennaio 1337)

L’arte di Giotto: una scia luminosa nel cielo del ‘300

Opere di Giotto
in alta definizione
Adorazione dei Magi

Nel 1301 i cieli sono segnati dal passaggio della cometa di Halley. Giù a guardarla fra tanti uomini stupiti, c’è Giotto. Il grande pittore allora impegnato nella ideazione degli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, decide di immortalarla in uno dei suoi celebri affreschi: L’adorazione dei Magi. Alla stella fissa che fin ora aveva guidato i Magi verso il Signore, Giotto sostituisce quindi una luce in movimento. Oltre il fascino del racconto, ciò che si può leggere dall’episodio può ricondurre al valore della spinta innovativa che Giotto seppe dare all’arte del tempo. L’arte come una luce che d’un tratto diventa una scia luminosa nel cielo, attirando quella attenzione da tempo perduta.
La vita di Giotto è ricostruibile anche attraverso le leggende che su di lui fiorirono. Ci tramandano l’immagine di un uomo dalle eccezionali qualità, che seppe imporsi nel panorama artistico dell’epoca.
Secondo quanto riporta la tradizione, Giotto nacque nel 1267, a Colle di Vespignano un paese, vicino Firenze; Oggi alcuni studiosi concordano nel dire invece che sia nato proprio a Firenze. Una attendibile storiografia lo vuole a Bottega da Cimabue dove presumibilmente il giovane pittore entrò in contatto con il Cavallini, noto artista dell’epoca, che pur utilizzando ancora una frontalità di stampo bizantino già nelle sue opere conferiva un caldo cromatismo, decisamente innovativo.
Si narra che Giotto venne scoperto da Cimabue, mentre disegnava su di una roccia una pecora al pascolo. Cimabue, resosi conto della innata bravura del giovane, lo volle come suo collaboratore…. L’episodio narrato deve farci riflettere sulla propensione di Giotto ad una riproduzione di tipo “naturalistico” dell’animale osservato, e non solamente alla sua particolare perizia nel disegno. Quel che di Giotto emerge invece in genere è soprattutto una particolare bravura nel dipingere. Nota ad esempio la leggenda della “o” di Giotto, che riferisce di una straordinaria capacità dell’artista nel disegnare un cerchio perfetto senza l’aiuto di alcuno strumento.
Senza dubbio Giotto fu un bravissimo pittore ma la qualità che gli si deve riconoscere non è solamente la “bravura” nel dipingere, ma il coraggio di aver rivoluzionato l’arte del suo tempo riportandone i contenuti a delle concezioni che ormai parevano sopite da tempo. Bene ha centrato il problema il pittore trecentesco Cennino Cennini, quando affermò che Giotto seppe tradurre l’arte dal Greco al Latino, con ciò intendendo dire che Giotto segnò con la sua arte, il definitivo passaggio dall’influsso bizantino (questo si intende per “greco”) ad un modo di intendere l’arte come interpretazione della realtà. Un’arte che si avvale della precedente lezione della classicità, tipica del naturalismo romano, che le fisse e “ieratiche” figure bizantine avevano soppiantato.
Giotto recupera infatti la visione prospettica, e attraverso un sapiente uso dei colori conferisce volume ai soggetti dipinti che ridiventano protagonisti della scena, uomini e donne reali in un contesto nuovamente reale. Anzi Giotto sottolinea aspetti di una quotidianità che non era più stata presa in considerazione nell’epoca precedente conferendovi una dignità inusuale.
I suoi personaggi occupano ora un ruolo storico, sociale definito e soprattutto compiono azioni all’interno di uno spazio tangibile. Ma soprattutto esprimono sentimenti… quei sentimenti che nel periodo precedente erano stati come cancellati dalle immagini fisse e imperturbabili dei personaggi delle raffigurazioni di derivazione bizantina, che abbiamo imparato a conoscere nei mosaici Ravennati. La carica rivoluzionaria delle opere di Giotto sta appunto nella conferma di una presenza attiva dell’uomo nella storia che anticipa le tendenze che successivamente prenderanno le mosse con il pensiero umanistico. La semplicità, la naturalezza delle rappresentazioni avvicinano lo spettatore ai personaggi raffigurati. Lo stesso San Francesco appare come un uomo in mezzo agli uomini, dotato di una nitida volumetria, conquista lo spazio circostante e lo anima. Giotto è attento alla caratterizzazione dei personaggi anche sotto il punto di vista della psicologia degli stessi, ne individua le passioni e i sentimenti, ne rende possibile una comunicazione che varca i confini della rappresentazione e giunge fino a noi che ne siamo spettatori.
Tali premesse conducono alla considerazione che a Giotto si debba la svolta che in seguito condusse allo sviluppo dell’arte del Rinascimento.
La critica ha molto dibattuto sulla natura del contributo giottesco sullo sviluppo del successivo periodo rinascimentale… Adorno, nel suo testo “l’arte Italiana”, tuttavia precisa: “Questa “esistenza” umana ha fatto talvolta parlare di un prerinascimento giottesco; ma Giotto non crea, come accadrà nel rinascimento persone singole, ciascuna con il proprio mondo interiore importante tanto quello dell’altro; esprime come tutto il medioevo sentimenti collettivi; ogni uomo è simile all’altro nel corpo e nel viso, perché le loro idee sono univoche(…) Giotto crea dei tipi, non individui: San Francesco non è l’”uomo” Francesco, sia pure Santo, con i suoi problemi individuali, con le proprie caratteristiche fisiche o morali; è “il Santo” come categoria universale.” Pur acquisendo come un dato di fatto tali osservazioni tuttavia non si deve ridimensionare il contributo fornito da Giotto all’evoluzione dell’arte pittorica del periodo successivo. Ciò anche in relazione alla diffusione dell’opera dell’artista.
La pittura di Giotto si diffuse infatti rapidamente grazie ai viaggi da lui intrapresi. Tra il 1290 e il 1296 è ad Assisi, dove partecipa alle decorazioni della Basilica di San Francesco. Nel 1302 si trova a Padova per affrescare la Cappella degli Scrovegni, che risulta essere il suo massimo capolavoro. Qui tra i vari “quadri” rappresentati spicca per il particolare pathos espresso dalle figure, quello denominato “Compianto sul Cristo morto” dove i vari soggetti sembrano disposti in modo da sottolineare delle linee convergenti sul volto del Cristo in modo che tutti partecipino univocamente al dolore della madre, che lo stringe a sé.
Ma le opere di Giotto sono anche nella Cappella Bardi a Firenze in Santa Croce e quella relativa ad un altro importante incarico, la conduzione del cantiere di Santa Maria del Fiore, per cui realizzerà il Campanile.
Giotto da grande pittore, infatti, successivamente assunse anche il ruolo di Architetto progettando il noto Campanile. L’importanza dell’opera affidatagli conferma la stima che i contemporanei avevano per lui. A tal proposito è altresì noto che Giotto venne citato da Dante in un passo del “Purgatorio”:
credette Cimabue nella pittura
aver lo campo, e ora ha Giotto il grido,
si che la fama di colui è oscura”.
Il grande Cimabue, che era stato il suo Maestro era adesso oscurato dalla fama del suo allievo. A Cimabue si deve tuttavia l’onore di avere anticipato Giotto nel dare consistenza e volume alle figure.
Nella seconda metà del secolo si interromperà il processo innescato da Giotto di rilancio della realtà a causa della peste del 1348 e di alcune carestie che colpiranno duramente il Paese.

Le opere pittoriche che confermano Giotto un grande narratore sono comunque da considerarsi quelle relative al ciclo assisiate e gli affreschi della Cappella degli Scrovegni. Si tratta di storie che seguono un preciso ordine di lettura. Afferma Adorno, in “l’arte italiana”: “il grande ciclo al quale il maestro lavora(…) è composto da 28 pannelli ed è inquadrato architettonicamente: in alto da una cornice di forti mensole e da una piccola soffittatura, in basso da una seconda cornice con mensole minori; le une e le altre aggettano perché concepite in prospettiva calcolata rispetto l’osservatore(…) gli episodi narrati sono tratti dalla leggenda Maior scritta fra il 1260-1263 da San Bonaventura. Il ciclo ha inizio vicino all’altare nella parete di destra sulla quale si svolge in direzione dell’ingresso, continua nella facciata interna, proseguendo nella parete di sinistra, per tornare verso l’altare dove si conclude”.
Per comprendere il percorso artistico e la maturazione del linguaggio giottesco è opportuno soffermarsi su alcuni specifici quadri. Ad esempio, l’affresco raffigurante “il dono del mantello”, probabilmente uno dei primi, presenta figure che non poggiano ancora i piedi concretamente nel terreno, quindi presentando riferimenti tipici degli antichi mosaici di tipo bizantino. Anche i corpi non hanno ancora conquistato una piena volumetria come quelli delle composizioni successive. Le innovazioni sono tuttavia presenti e sono da notare nello spazio all’interno del quale le figure agiscono. Due montagne rocciose accolgono dei piccoli alberi e, sullo sfondo vi è una città, a destra e un convento dalla parte opposta. Simbolicamente tali presenze rappresentano la vita civile e quella spirituale..
Al centro della composizione si trova il volto del Santo, sul quale convergono alcune linee compositive. La linea pertanto assume un significato direzionale che guida lo sguardo dell’osservatore. I protagonisti della vicenda sono descritti in proporzione più grandi degli alberi e degli elementi naturali, ma non per uno scopo gerarchico come avveniva nel periodo bizantino, bensì per evidenziare il messaggio. San Francesco infatti amava tutte le creature. La presenza dell’asino in grandezza naturale lo testimonia.
Molti elementi giotteschi emergono dal quadro denominato “La rinuncia dei beni terreni”. Qui, oltre a mostrare una ricerca nella volumetria del corpo seminudo del santo, Giotto mostra l’ira trattenuta del padre, che non avrebbe voluto un simile gesto da parte del figlio. L’evoluzione rispetto al linguaggio espresso nel dono del mantello è evidente anche nella postura dei piedi del Santo, che questa volta appaiono solidamente poggiati al terreno.

Cappella degli Scrovegni – Padova

Altro importante ciclo pittorico è quello della Cappella degli Scrovegni, così denominata perché commissionata dalla famiglia degli Scrovegni. La cappella architettonicamente molto semplice, sembra quasi essere nata per ricevere gli affreschi di Giotto. L’opera del pittore mira anche qui ad avvicinare allo spettatore la vita dei soggetti rappresentati. Si tratta delle storie di Gioacchino ed Anna, della Madonna e del Cristo. Uno dei quadri più commoventi è quello sul “compianto sul Cristo morto”. In primo piano notiamo subito due personaggi raffigurati di spalle. Sicuramente questo è un particolare degno di nota, dal momento che noi riusciamo a percepire il loro dolore pur non vedendone l’espressione del viso…. Fatto straordinario se calato nel periodo, nel quale nell’arte non si rappresentavano figure viste di spalle ma anzi si cercava il modo migliore per rappresentarle interamente, evitando anche di mostrarle di scorcio. Pensiamo ai mosaici bizantini che non trascuravano mai di presentarle frontalmente. Adesso invece queste due donne, accovacciate viste di spalle ci introducono nello spazio concreto della scena, ci preannunciano il dolore. Il dolore tuttavia è contenuto, classicamente espresso, misurato. Sembra che solo agli angeli sia consentito disperarsi. Tra tutte colpisce la figura di San Giovanni che apre le braccia. Ma è un gesto che appare immobile, cristallizzato nella ineluttabilità e soprattutto nella sacralità dell’evento.. Afferma Adorno: “più che la rappresentazione immediata di un sentimento transitorio, è l’espressione di un giudizio morale, al di fuori dal tempo e quindi sempre attuale”. Giotto si conferma così un grande narratore perché seppe avvicinare all’uomo del suo tempo la dimensione divina, e a noi oggi che osserviamo i suoi affreschi, ha donato la possibilità di tornare a commuoverci.