Fotografare

Tra terra e mare
Tra terra e mare

Fotografare è un po’ come compiere un viaggio, però velocissimo, alla velocità di uno scatto … Un viaggio come metafora di un viaggio interiore, inteso allo scoprire le proprie radici, l’identità nascosta dietro le apparenti estetiche forme del vivere contemporaneo. Un viaggio, elaborato prima di tutto dentro se stessi che matura la scelta di un soggetto o di un luogo, che può essere distante, ma che può anche essere vicinissimo. Non occorre enfatizzarne contenuti necessariamente socio-culturali atti a suggerirne spinte che spesso sanno di alibi. Questo viaggio è prima di tutto conoscere se stessi riconoscendosi nell’altro. Dove “altro” può essere la gente, può essere un paesaggio, può essere un aspetto culturale ma anche la semplice e incompresa esigenza di volersi staccare da una routine, quella quotidiana, che soffoca le proprie tensioni, assopendo le capacità di percepire e quindi di stupirsi. Prima di prendere un viaggio si può anche non avere voglia di viaggiare,  perché staccarsi dalla propria dimensione statica e rassicurante può generare ansie e paure. Vincere queste paure significa a volte ricominciare a  guardare alla propria vita come ad una scoperta. Fotografare è parte di questa scoperta.
Sostiene Eugenio Turri: “Lo scatto fotografico è un attimo breve, una frazione di secondo generalmente, eppure in quell’attimo, di forte intensità partecipativa, si è visto e capito più di ore e ore passate a guardare. (…) il fascino e la preziosità delle vecchie fotografie sta in questo: rappresentano un momento breve, fulmineo, attraverso il quale si leggono molte cose, ignorandone altre, del mondo che essi rispecchiano”.
E’ vero, la fotografia, catturata anche fugacemente ci mette in comunicazione con capacità di cui noi non siamo ancora consapevoli. Si scatta in quel momento perché si intuisce che quella è l’immagine che, più di ogni altra, può aiutarci a capire quella realtà. Poi, con calma l’immagine si potrà osservare e ci rivelerà molte delle cose che noi avevamo solamente intuito, e delle quali, ci siamo già dimenticati. Questo è il momento della scoperta. L’immagine dapprima si intuisce, poi si scopre. Questi due momenti – del fare intuitivamente, e dello scoprire denotando e connotando – sono complementari e rappresentano insieme uno degli strumenti di conoscenza della realtà che ci circonda più veri, proprio perché capaci di mettere in comunicazione i due principali modi che l’essere umano ha a disposizione per comprendere il suo intorno  in relazione a ciò che ha dentro di sé. Questo vale quando osserviamo immagini prodotte da noi stessi.
Diversamente quando osserviamo immagini che non sono state realizzate da noi, ma da un altro fotografo – contemporaneo alla nostra epoca- dobbiamo compiere un atto di immedesimazione. Occorre cioè cercare di intuire ciò che quel fotografo ha voluto esprimere nell’eseguire l’immagine proposta. L’immagine va guardata per quello che materialmente ci offre e per quello che ha condotto alla sua scelta. In questo caso l’operazione di denotazione e connotazione ci spinge ad approfondire servendoci di due livelli di conoscenza, quello della comprensione dell’animo di chi fotografa  e quello dell’intuizione di chi osserva. Quando infine ci apprestiamo ad osservare una foto antica, un ulteriore  elemento si frappone tra la nostra capacità di osservazione e l’immagine: il tempo. La distanza tra i nostri occhi e l’immagine che stiamo guardando si amplifica perché il tempo la dilata proporzionalmente alla sfera socio-culturale e del contesto di appartenenza. Entrano in gioco quindi una molteplicità di fattori, che devono essere contemplati se si vuole utilizzare l’immagine come elemento di conoscenza.
Occorrerà capire le ragioni, storiche oltre che tecniche, che hanno condizionato il fotografo nell’impostare quella determinata fotografia, occorrerà saperne di più sul personaggio ripreso e sulla ragione che lo ha spinto a farsi fotografare. Infine ci si dovrà servire ancora una volta dell’intuito per potersi immedesimare nel contesto generativo complessivo dell’immagine. In questo modo quando osserviamo una foto antica, potremo infrangere il muro del tempo che ci rende distanti da quelle espressioni, da quei gesti che, per ragioni storiche, culturali  e educative ci appaiono così lontane da noi e a volte impenetrabili per scoprire che, in fondo, quella distanza non appartiene alla sfera dei sentimenti, e basterà colmarla con un viaggio, questa volta compiuto nel tempo, passando da se stessi.