Fotografare opere d’arte

OVVERO L’ARTE DI RIPRODUZIONE DELL’ARTE

Per realizzare delle riproduzioni di opere d’arte che possano essere considerate tali, occorre essere in grado di saper correttamente utilizzare un insieme di tecniche molto complesse e per questo occorre acquisire una preparazione specifica per diventare un fotografo specializzato in questo settore – molti corsi oggi sono orientati alla formazione di fotografi di opere d’arte-. Occorre avvalersi degli strumenti necessari ed avere anche delle competenze riguardo la successiva resa della riproduzione, che fa parte integrante del procedimento stesso.
Ponendo il caso della riproduzione ad es. di un quadro, possiamo dire che per fotografarlo bisogna porre attenzione ad aspetti come la luce, che deve essere omogenea; pertanto occorrerà illuminare uniformemente l’opera con quattro lampade poste a 45° rispetto all’asse fotocamera-quadro, avendo cura di metterle sullo stesso piano della fotocamera. Per riprodurre il quadro in modo non distorto, cioè mantenente angoli di 90°, occorrerà poi mettere la fotocamera sul cavalletto perfettamente “in bolla”, puntandola al centro del quadro.
Non bisogna dimenticare di misurare l’esposizione, con un esposimetro separato “a luce incidente”, e comunque è consigliabile sempre effettuare tre esposizioni diverse per fotografare il quadro. Per ottenere risultati ottimali inoltre il fotografo e la parete di fronte al quadro, non dovrebbero essere mai illuminati e bisognerebbe sempre eliminare le luci provenienti da altre fonti. Pertanto, mettersi dietro un pannello nero con un foro per l’obiettivo, è sempre consigliabile. La tecnica suggerisce di bloccare il tempo rilevato in manuale, utilizzare una coppia tempo-diaframma in cui il diaframma sia 5, 6 o 8. Diaframmare di più non serve, perché non occorre profondità di campo per riprendere un soggetto piano come un quadro. Per ciò che riguarda le luci, nel caso si utilizzino lampade a luce continua occorrerà usare un filtro di conversione blu o pellicola per luce artificiale. Per ridurre le vibrazioni della macchina fotografica bisogna scattare con un cavetto flessibile o con l’autoscatto -dal momento che la macchina è posta su di un cavalletto-.
Anche la scelta della pellicola è importante: non si devono ad es. usare pellicole dal contrasto eccessivo o quelle dai toni caldi al fine di non alterare la resa cromatica. Infine, il passaggio al fotolaboratorio è fondamentale: un consiglio è quello di chiedere di sviluppare le diapositive dopo aver effettuato un controllo dei cromogeni. Buona norma è l’aggiungere una scala colori (della Kodak) che possa essere utile al tipografo come riferimento per la stampa.
All’interno dei corsi che attualmente si svolgono per diventare fotografo di opere d’arte, -e quindi apprendere l’arte di fotografare le opere d’arte-, si tiene sempre più in considerazione l’approccio verso l’opera, che sottintende uno studio delle stesse, perché è importante di fronte alla svariata quantità di modalità di espressione dei messaggi dell’arte contemporanea, il potere comprendere lo spirito dell’opera e l’intenzione dell’autore. L’apprendimento infine delle tecnologie offerte dall’era del digitale sono funzionali al confronto analogico-digitale e alla ottimizzazione dei files prodotti,(quando occorra produrne). Numerosissime sono le regole da osservare per una resa ottimale delle riproduzioni quando occorra digitalizzarle. Per conservare almeno una buona parte dei particolari bisognerà acquisire sempre le immagini avvalendosi di scanner di buon livello e ad altissima risoluzione. La ripresa diretta in digitale si avvale di macchine digitali molto avanzate, che tuttavia ancora spesso non hanno sostituito le macchine fotografiche tradizionali. I corsi propongono anche lo sviluppo di competenze riguardo la riproduzione di opere di pittura mobili in luce diffusa, in luce radente, in transilluminazione, e quant’altro per venire incontro alle esigenze di riproduzione delle opere d’arte contemporanea.
Anche con tutte queste competenze ed attenzioni riguardo la riproduzione dell’opera, in realtà è sempre possibile considerare impossibile per certi versi, la riproduzione di un’opera d’arte…. W. Benjamin nel suo notissimo “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, -Torino, Einaudi, 1999-, sosteneva una irrepetibilità dell’opera d’arte, ed affermava che “anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova”.
Ogni opera, (specialmente poi quando si parla di opere a carattere scultoreo), è posta in relazione con lo spazio in cui è collocata… Per ciò che riguarda la riproduzione di un’opera d’arte scultorea le problematiche da affrontare in merito sono numerose, non solo per la scelta del modo di illuminarle, che potrebbe in teoria anche voler rispettare – e quindi riproporre- le condizioni di illuminazione dell’opera nel suo contesto originale, -cosa spesso impossibile e quindi quasi sempre trascurata – ma soprattutto dovrebbe comprendere più punti di vista, corrispondenti a quelli di un fruitore che gira intorno all’opera, per darne soltanto una idea. Anche un quadro, specie se di arte contemporanea, a volte sottintende il movimento del fruitore… Una riproduzione per quanto altamente definita e perfettamente fedele per resa cromatica non restituirà mai l’opera nel suo contesto, non renderà giustizia dell’emozione che si prova nell’osservarla direttamente. Tuttavia la riproduzione è un ottimo mezzo di divulgazione dell’opera come riferimento, per spiegare i contenuti, pertanto si deve alla riproduzione fotografica di un’opera d’arte il grande merito di avere contribuito a divulgare l’arte e a creare nella coscienza di tanti una sensibilità verso l’arte, patrimonio di tutti, e non solo di chi ha la possibilità di recarsi nei musei per osservarle veramente.

UN PO’ DI STORIA…

La fotografia, fin dai suoi esordi venne considerata un valido strumento per la diffusione delle immagini di opere d’arte… Si moltiplicarono pertanto i tentativi di riprodurre al meglio le opere. Già dalla metà dell’800 cominciarono a operare le note ditte Alinari, Anderson e Brogi e, in corrispondenza dell’istituzione delle prime cattedre di Storia dell’arte gli insegnanti poterono avvalersi di una consistente documentazione d’immagini per potere commentare le opere. Le opere d’arte erano inizialmente riprodotte in fototipia oppure presentate attraverso le stampe d’incisione. Molte copie fotografiche erano tratte da lastre in vetro di cm. 21×27 e stampate “a contatto”, e venivano appositamente acquisite dalle collezioni dei migliori fotografi italiani e stranieri, che si erano specializzati nel settore. Si comprese subito l’importanza di potere usufruire di riproduzioni di opere d’arte a colori. Pertanto cominciarono ad attuarsi esperimenti per ottenere delle immagini a colori, (che tuttavia erano già comparsi già intorno ai primi anni della scoperta della fotografia). Si pervenne alla tecnica della stampa tricromica, presentata nel 1869.
A tal proposito è da citare il testo: ”I colori in fotografia: soluzione del problema” di L.D. du Hauron dove si descriveva il complesso procedimento di sintesi sottrattiva per la riproduzione tricromica. In seguito vari procedimenti si baseranno proprio su questo principio. Già C. Bonacini pioniere della fotografia scientifica e teorico del colore, autore di: La fotografia dei colori (Milano: Hoepli), nel 1893, aveva sottolineato le difficoltà di riproduzione tecnica delle opere d’arte. Negli ultimi anni del 1800 alcuni perfezionamenti -dalle ottiche ai procedimenti chimici, alla qualità della carta da stampa ai negativi ortocromatici con i relativi filtri colorati-, permetteranno di ottenere riproduzioni in grado di far vedere le caratteristiche del soggetto almeno come in una buona incisione. A tal punto la riproduzione delle opere d’arte diverrà funzionale alla conoscenza delle stesse. Sarà con l’esordio della tecnica delle autocromie che si otterranno fotografie a colori. Le autocromie, verranno commercializzate agli inizi del 1907.
Nel 1908 il proprietario di una casa di edizioni artistiche di Parigi, organizzò una mostra di prove autocromatiche aventi come soggetto quadri famosi – vedi quelli di Rembrandt e Corot, che vennero a suo dire riprodotti benissimo. La necessità di costituire in Italia, sull’esempio di quanto già stava avvenendo all’estero, grandi archivi d’immagini si comincia a sentire… Una nota informativa, comparsa sul primo numero di una pubblicazione a carattere scientifico ”La Bibliofilia, raccolta di scritti sull’arte antica in libri, stampe, manoscritti, autografi e legature”, diretta da L. S. Olschki, 1899-1900, Vol. I, Firenze riportava: “Archivio fotografico. Camillo Boito, Corrado Ricci e Giuseppe Fumagalli hanno, con pensiero lodevolissimo pensato di istituire a Milano, nel palazzo di Brera, un grande Archivio fotografico in cui si accolga qualunque fotografia che man mano viene eseguita; invitano perciò quanti amano l’arte e la storia, di mandar loro fotografie, col proposito di ordinarle e disporle in modo conveniente. I vantaggi che da questa nuova e curiosa raccolta si potrebbero avere, sono evidenti. Ognuno potrebbe ricercarvi molti dei documenti grafici che gli abbisognano per gli studi suoi; né solo gli sprovvisti di mezzi vi troverebbero un giusto aiuto, ma tutti indistintamente, ricchi e poveri, dalla quantità del materiale raccolto e dalla regolare disposizione d’esso sarebbero grandemente facilitati nel loro lavoro.” I grandi archivi nascono quindi dallo spirito di cooperazione e dall’amore per l’arte, che è a sua volta rivolta a tutti “indistintamente”.