Yung Ho Chang: La coscienza dei luoghi

Noto in Europa per aver partecipato alla 51ma Biennale di Venezia, con una struttura interamente in bambù costruita accanto al Padiglione cinese, l’architetto Yung Ho Chang è una delle figure più interessanti del panorama architettonico contemporaneo. Egli si distingue per una spiccata sensibilità verso le componenti locali che osserva, partendo da una consapevolezza verso i nuovi linguaggi “globali”. Parla di microurbanizzazione, identificando in essa la giusta strategia per non tralasciare la componente simbolica del costruire; vuole che non si trascuri la necessaria relazione che sussiste tra architettura e città e tra città e territorio.
Comprende, della sua terra, la complessità dei contesti urbani ed indaga sui meccanismi organizzativi dei tessuti, specie quelli appartenenti al contesto tradizionale, come quelli particolarmente fitti detti “hutong”. In questi quartieri si trovano le case a patio centrale, soggette a un lento e progressivo abbandono; esse costituenti il vecchio tessuto abitativo della città, sono prevalentemente collegate tra loro da una fittissima rete di vicoli.
Consapevole dell’importanza della salvaguardia delle tipologie tradizionali, Yung Ho Chang prende spunto anche da queste componenti per realizzare il suo linguaggio architettonico, sospeso tra passato e futuro, ma mai privo di quelle basi che gli hanno sempre permesso di lavorare in aderenza con le realtà dei luoghi. La coscienza dei luoghi, è il primo passo per l’approccio al progetto. Ritiene sia fondamentale concentrarsi contro ogni possibile perdita di qualità dell’architettura di fronte ai fenomeni dilaganti e velocissimi che stanno investendo la Cina.
Propone quindi la lentezza che consente di riflettere alla velocità, il mini invece del mega e una maggiore qualità al posto delle quantità.
Di lui ricordiamo la Split House, cioè la “casa divisa”, del 2002, dove combina materiali vecchi e nuovi come il legno e il cemento. Questa casa è stata costruita tra la montagna e l’acqua, elementi già a forte carica simbolica. La simbologia della casa è stata ulteriormente amplificata dalla apertura al centro. Una antichissima pratica realizzata in molte culture al fine di realizzare una unione simbolica tra naturale e artificiale e riproporre l’asse che collega la casa al cielo. Dichiara a riguardo della Split House di avere progettato una architettura che dona la sensazione“ che la casa sia nuova, ma faccia parte già da tempo della collina, sulla quale non sono intervenuto. Questo è molto orientale”. La casa si trova a nord di Pechino, vicino alla Grande Muraglia, in un paesaggio montano. Il progetto trae spunto dalle “si he yuan” e cioè dalle antiche case di Pechino composte da edifici bassi e raccolte attorno a una, o più corti. La struttura portante della casa vuole rispettare l’ambiente ed è concepita in modo che, in un tempo futuro, cessata la sua funzione, questa casa, fatta di materiali tipici dell’architettura tradizionale, potrà essere “metabolizzata” dall’ambiente lasciando minime tracce del suo “passaggio”. In tal senso l’architetto si conferma un operatore attento e consapevole, che lascia trasparire una profonda sensibilità verso ciò che lo circonda.

Brevi cenni biografici

Yung Ho Chang, nato a Pechino nel 1956, studia architettura nel particolare clima che seguiva alla riapertura delle università negli anni successivi alla Rivoluzione Culturale. Completa i suoi studi negli Stati Uniti e insegna, sempre negli Stati Uniti dal 1985 al 1993 alla University of Michigan, alla University of Berkeley e Rice University. Apre nel 1993, con la moglie Lijia Lu, l’Atelier Feichang Jianzhu, – FCJZ-, che significa qualcosa come “costruzione irregolare”. L’atelier è passato alla storia per essere stato il primo studio privato (quindi non statale) di architettura in Cina. Lo studio si occupa di interventi come le installazioni e le architetture temporanee, le residenze e gli edifici pubblici ma anche di oggetti di arredo.
Nel 1996 torna a Pechino dove poi fonda la nuova scuola di Architettura presso l’Università di Pechino. Partendo da un attento studio delle tipologie storiche della cultura insediativa cinese, Yung Ho Chang perviene ad un proprio linguaggio personale e ad un uso consapevole dei materiali tradizionali come la terra compressa ed il legno naturale e alla combinazione di materiali vecchi e nuovi. Promuove soluzioni sempre conformi alle culture locali. Nel 2002, ottiene la cattedra (che era stata di Kenzo Tange), alla Harvard University’s Graduate School of Design. Con Steven Holl, promuove la rivista di architettura “32 Beijing-New York”.
Nutre interessi diversi, uno dei quali, l’arte, lo prende tantissimo. Ama le opere di Duchamp. La pittura è stato uno dei suoi più profondi interessi, ma vi ha rinunciato a suo dire per una scarsa capacità tecnica. Alcune sue progettazioni riguardano però da vicino il mondo dell’arte, come: lo SMOCA, cioè lo Small Museum of Contemporary Art, che ha ideato per l’artista Cai Guo-Qiang, o la progettazione della installazione della mostra Cities on the Move (1997- 1999). Ha ricevuto anche molti premi, come quello dell’Unesco, proprio per la promozione delle arti. Yung Ho Chang è stato nominato direttore del dipartimento di architettura del MIT di Boston, ed è apprezzato per la straordinaria capacità di affrontare progettazioni diverse come installazioni concettuali, pianificazioni urbanistiche o architetture bioclimatiche.