Peter Eisenman, quel mare di steli
È all’intellettuale Peter Eisenman che è stata attribuita la “paternità” del decostruttivismo in architettura. È al professionista Peter Eisenmann che è stato detto di essere uno dei protagonisti della architettura contemporanea più interessanti e meno comprensibili. È all’architetto Eisenmann che è stato riconosciuto d’essere tra i progettisti d’architettura più innovativi dell’attuale panorama architettonico. Eppure Eisenman, si dichiara estraneo a tali dichiarazioni ed anzi afferma di essere addirittura “contrario” alle affermazioni che vorrebbero ascrivere le sue opere all’interno del decostruttivismo ed etichettare la sua personalità artistica incasellandola all’interno di un qualche specifico filone. Autore libero dunque, di inventare, miscelare e avvalersi di nuovi e vecchi linguaggi, per crearne uno suo, o meglio, per creare di volta in volta uno capace di evolversi in progetto d’architettura. Così si tira in ballo anche l’opera di Marcel Duchamp, cui Eisenman riconosce una speciale affinità nello svelare certi aspetti dell’arte che, non può e non deve essere circoscritta in un ambito stilistico. Lo spazio, questa volta è la materia da rielaborare, come lo erano gli oggetti per Duchamp; esso deve andare incontro alle esigenze del contemporaneo universo visivo perdendo quelle qualità che fondavano le radicate certezze dell’uomo nello spazio cartesiano.
“Rendere le cose meno comprensibili” come egli stesso dichiara, quindi significa metterle in movimento e al contempo renderle capaci di adeguarsi a quella continua evoluzione cui le cose, tutte le cose, oggi sono soggette. Alla “organizzazione” subentra la “disorganizzazione” della forma che aderisce così alla mutevolezza della cultura, non solo in termini di cultura tecnologica, -come intendono molti dei suoi colleghi-, ma in termini sociali, umani, etici.
Ecco perché quando si commentano le opere di Eisenman si ricorre al termine di “architettura concettuale”, come una progettazione che vuole essere libera da quelle- seppur necessarie- logiche procedurali che condurrebbero alla certezza del raggiungimento dell’obbiettivo ma che non terrebbero conto che ciò che conta è l’iter creativo e non l’esito finale dello stesso. In tal senso è importante che si pervenga ad un progetto finale che porti in sé leggibili le proprie tappe morfogenetiche.
Una delle ultime opere di Eisenman è il Memoriale alle vittime dell’olocausto, luogo pubblico di Berlino, interamente finanziato dallo Stato. Comprende ben 2711 stele di cemento, installate nei pressi della Porta di Brandeburgo. Vuole porsi come possibile spunto di approfondimento emotivo o, come sferzata all’animo assopito di tanti che non hanno ancora riflettuto sull’atroce destino di 6 milioni di ebrei uccisi nel corso dell’ultima guerra mondiale.
Alla superficie di quasi 20 mila metri quadri di questo luogo si accede, ma non da un preciso e definito punto. Non è tuttavia l’ingresso a mancare, ma il senso dell’ingresso. La sensazione di perdita parte da qui, da questo incredibile, efficacissimo particolare…. Il memoriale è concepito come un mare. Un mare di steli. Un mare di dolore incolmabile. Il perimetro possiede tuttavia una forma, ed è quella ortogonale seppure disposta su di una base ondulata. L’altezza delle stele varia dai 20 cm ai 4 m. Come a voler simboleggiare adulti e bambini. Ogni stele è posta ad una precisa distanza (95 centimetri), dal momento che l’olocausto è stato programmato, anche l’espressione dell’esito dell’olocausto è rigorosamente tradotto in geometria.
Brevi cenni biografici
Peter Eisenman nasce a Newark, nel New Jersey nel 1932. Studia presso la Cornell University e negli anni ’60 alla Columbia University a alla University of Cambridge in Inghilterra. Inizia poi la sua attività professionale lavorando con M.Graves, specie per il progetto per il Manhattan Waterfront commissionato dal Moma e realizzato nel ’66. Dal 1967 si dedica alla progettazione di House. Del 1967 è la House I per la famiglia Barenholtz, a Princeton, poi è la volta della House II e nel ‘71 della House III per la famiglia Miller, a Lakeville, nel Connecticut. La House IV, Falls Village, sempre nel Connecticut e la House VI per la famiglia Frank, a Cornwall.
Nel 1969 insegna alla Cooper Union di New York ed alla Ohio State University di Columbus.
Tra il 1970 e il 1980 fonda l’Institute for Architecture and Urban Studies e la rivista “Oppositions”. Nel 1973 fa parte del gruppo di sei architetti americani presentati a Milano dalla XV Triennale 1975-1978, Haus X (Haus Bloomfield), Hills.
Nel 1980 a New York apre lo studio di progettazione con Jaquelin Robertson, e nel 1981 progetta l’edificio d’abitazione per l’Iba al Checkpoint Charlie, a Berlino.
Sempre a Berlino nel 1984 vince il concorso internazionale dove riceve il primo premio speciale Iba. Nel 1983- 89 la Wexner Center for the Visual Arts and Fine Arts Library, a Columbus, in Ohio. Nel 1987 lo studio diventa la Eisenman Architects. Nel 1988 partecipa al MOMA di New York alla mostra di “Deconstructivist Architecture”. Del 1988 è il Koizumi Sangyo Building, di Tokyo e del 1990-92 il Nunotani Corporation Headquarters Building. Nel 1991 partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1991 con C.Davidson, fonda la “Anyone Corporation”, istituzione culturale per un confronto internazionale con le più avanzate tendenze contemporanee. Progetta la Emory University Center for the Arts, ad Atlanta e nel 1992 la Max Reinhardt House, a Berlino. Nel 1994 la Tours Center for Contemporary Arts and Music Conservatory, a Tours e nel 1996 la Chiesa dell’anno 2000, a Roma e la Denkmal fur die Opfer des Holocaust.