Rem Koolhaas – OMA, nel segno della “modernizzazione”

L’architetto olandese, Remment Lucas Koolhaas è nato nel 1944 a Rotterdam. Nel 1963, lavora come giornalista per l'”Haagse Post” ed anche come sceneggiatore cinematografico. Trasferitosi a Londra negli anni ’70, ha studiato all’Architectural Association di Londra con Bernard Tschumi e Zaha Hadid. Nel 1972, negli Stati Uniti, subisce il fascino di New York e vi avvia uno studio sull’impatto, in architettura, della cultura metropolitana.
Successivamente torna in Europa, e, quando fonda insieme a Elia e Zoe Zenghelis e Madelon Vriesendrop, l’Office for Metropolitan Architecture (detto OMA), di Londra -la cui sede centrale sarà poi spostata a Rotterdam-, la caratterizza come una esperienza di lavoro collettiva alla quale imporrà anche una decisiva impronta teorica.
Nell’ambito dell’OMA, Koolhaas elabora alcuni progetti inizialmente riferibili all’area dell’avanguardia costruttivista russa. Obiettivo dell’OMA, fu da subito quello di definire nuove relazioni tra l’architettura e il contesto, inteso nelle sue varie componenti ambientali e socio-culturali, espresso dal mondo contemporaneo. Nel noto testo da lui scritto: “Delirious New York”, del 1978, dove esalta la metropoli americana in polemica con l’atteggiamento nostalgico del post-modern, Koolhaas dichiara la sua propensione ad una cultura della “congestione” e formula il manifesto “retroattivo” per Manhattan. Si riferisce alle diverse possibilità espressive dell’architettura moderna, che possano includere il concetto di movimento e della mobilità, intesa come dinamica dei flussi, all’interno dello stesso procedimento progettuale.
Inserito tra quegli architetti i cui progetti furono contemplati nella ormai famosissima mostra del MoMA, dal titolo Deconstructivist Architecture, insieme a HadidTschumiGehryLibeskindEisenman e Coop Himmelblau, Koolhaas si è però differenziato per un linguaggio più “razionale”. È stato definito dai critici come un Modernista o Decostruttivista; in realtà si tratta comunque di un architetto dedito alle sperimentazioni, sia di nuovi linguaggi che di nuove opportunità per l’architettura. È lo stesso Koolhaas ad affermare di preferire alla parola modernità il verbo equivalente, cioè “modernizzare”, in virtù di un riferirsi alla creazione, come “azione reale e concreta” che ci conduce ad una perenne trasformazione di ogni forma di espressione. Per Koolhaas però, l’azione di modernizzare non si limita all’utilizzo di nuove tecnologie, materiali o alla sperimentazione di nuove forme, ma vuole tentare di inserire nel procedimento progettuale anche ciò che le ultime tecnologie digitali possono offrire. Egli si esprime infatti in una continua ricerca della contemporaneità che possa saper cogliere in architettura le opportunità offerte dal nostro tempo.
Per questo giudica quelli “ junk-spaces”, letteralmente spazi-spazzatura come ad es. gli ipermercati, spazi “interessanti” in virtù del loro essere in continua trasformazione in relazione alle mutevoli funzioni. Vede quindi, nei nuovi centri commerciali, nelle stazioni delle odierne metropoli e nei grattacieli (quelli che potrebbero consentire una complessità di funzioni e di relazioni sociali), l’espressione potenziale di quella “energia dei flussi” che l’architettura deve poter essere capace di riqualificare. Ritiene per questo non essere più possibile, per un architetto contemporaneo, trascurarne la portata di impatto, specie in presenza della nuova frenetica circolazione di moltitudini di persone nelle città.
L’uomo di oggi, è per lui come immerso nella coesistenza di varie esperienze, in una commistione di spazi che ammettono sia concentrazione che lentezza. Per questo K. pensa alla ridefinizione della qualità degli spazi pubblici e delle infrastrutture di connessione, (quali le rampe, gli attraversamenti autostradali o i passaggi pedonali che attualmente stentano a garantire quelle comunicazioni che piuttosto dovrebbero facilitare).
Nel 1994 pubblica, in collaborazione col grafico canadese Bruce Mau, “S,M,L,XL”.
Dal 1995 presso la Harvard University, dirige un gruppo di ricerca composto sia da insegnanti che da studenti, che si impegnano in un progetto interdisciplinare l’”Harvard Design School Project on the City”, per studiare i fattori che influiscono sul contesto urbano e nel paesaggio. Quando nel 2000 vince il Pritzker Architecture Prize viene definito come “Una rara combinazione tra il visionario e l’artigiano, tra il filosofo e il tecnico, tra il teorico e il profeta”. Nel 2003 insieme a Claudio Abbado, Ken Loach e Mario Merz, vince il Praemium Imperiale, -considerato una sorta di Nobel delle Arti-, istituito dalla Japan Art Association. Ha tenuto numerose conferenze, una di queste, Punto e a capo, è stata la conferenza che in molti hanno visto come un punto di svolta del suo stesso percorso teorico.
Koolhaas ha progettato numerose opere come: L’Hotel Sphinx, New York, USA; L’Hotel Welfare Palace, a New York negli anni ’70. Nel 1987 il Netherlands Dance Theater dell’Aia; il Centro Congressi ad Agadir, in Marocco nel 1990;il Nexus House di Fukuoka del 1991 in Giappone; lo Yolohama Urban Ring a Yokohama l’anno successivo. L’ambasciata d’Olanda a Berlino; il master plan per Euralille e il Lille Grand Palais a Lille in Francia nel 1994;, il Miami Performing Arts Center, in Florida; la Tate Gallery Extension London; l’Hypo-Theatiner-Zentrum im Gablerhaus Munich a Monaco; l’Educatorium di Utrecht è del 1997; il Porto Concert Hall, e il museo Kunsthal di Rotterdam; il Guggenheim Hermitage Museum di Las Vegas del 2001 e lo shopping center di Prada a Manhattan. Nel 2002 il Prada shop, di Los Angeles in collaborazione con Ole Scheeren e con l’Office for metropolitan architecture. Questo negozio, o meglio “epivcentro”, è stato studiato appositamente per il clima di Los Angeles; Caratterizzato dall’assenza di vere e proprie facciate o vetrine, è uno spazio aperto, separato termicamente dall’esterno da un “muro d’aria” sensibile alle variazioni climatiche. Un tetto aperto consente alla luce naturale di illuminare lo scenario. Alle persone è consentito non solo di entrare per gli acquisti, ma anche di trascorrervi del tempo. La stessa filosofia è seguita per la Libreria pubblica di Seattle che è del 2004. Qui l’architetto concepisce un volume compatto ma capace, attraverso le sue articolazioni, di colloquiare con l’ambiente urbano circostante e caratterizzare il profilo urbano della città di Seattle. L’edificio, che prevede otto livelli collegati fra loro da un sistema di scale mobili, possiede una organizzazione degli spazi interni di sconvolgente novità. A parte l’uso anticonvenzionale dei colori, e l’inserimento di caratteri giganti atti a segnalare la funzione dei vari ambienti, la struttura della griglia a losanghe del rivestimento esterno in acciaio e vetro, sembra quasi invadere le sale di lettura, offrendo degli straordinari effetti di luce-ombra, peraltro molto insoliti in un ambiente che da sempre ha richiesto il rispetto di determinati criteri. Il concetto tipologico tradizionale di biblioteca si dilata per appropriarsi delle dinamiche di uno spazio pertinente alla città. Un rivestimento in moquette striata, evoca i disegni segnaletici delle strade carrabili. Una sorta di piazza, chiusa, e nel contempo aperta verso tutti coloro i quali non vogliono far altro che intrattenersi un po’, dall’assiduo studioso al semplice frequentatore occasionale.
Molti i progetti in corso, come ad es. il Progetto per il Master Plan Zeche Zollverein Essen in Germania, previsto per il 2008 e i master plans per gli Universal Studios di Los Angeles. Avendo preso il Primo premio al concorso per la stazione televisiva CCTV, Beijing, Cina attualmente l’OMA è impegnato nella progettazione della nuova sede della televisione cinese e del centro culturale di Pechino, il cui completamento è previsto per il 2008, in occasione dei giochi olimpici.