Op art

La Op-Art è caratterizzata dall’approfondimento di ricerche ottico-percettive condotte nell’ambito del Bauhaus, del Futurismo e del Dadaismo. Per quanto le opere OP-art possano, a prima vista, sembrare dei virtuosismi ad effetto, in realtà esse si basano sui rigidissimi codici visivi e fondamenti scientifici relativi allo studio della percezione visiva. Tali opere, che si rifanno a regole percettive universali basate su sperimentazioni grafiche che attengono ai fenomeni della GESTALT, indagano sui rapporti causa effetto tra l’immagine e lo sguardo del fruitore, tra l’oggetto e il soggetto ricevente. Protagoniste assolute sono le texture (o gradients come li chiamava Gibson) e i patterns, che concorrono a suggerire effetti tridimensionali, o addirittura suggeriscono il movimento.
Il movimento artistico preceduto da esperienze sulla percezione che risalgono agli anni 1920, si manifesta inizialmente verso la fine degli anni Cinquanta. Gli artisti della Op-art si servono delle tecniche industriali per ricreare i loro effetti ottici e di movimento, e di congegni meccanici, luminosi, elettromagnetici, oltre ad i classici accostamenti di colori netti a linee, punti, forme geometriche che destano nell’osservatore reazioni ottiche e psicologiche. Il fruitore di un’opera Op viene invitato a completare l’opera con il suo personale intervento. Le opere si realizzano nella ricerca dei gradienti strutturali, in un tentativo di ottenere attraverso trame strutturali diverse, effetti più di carattere psicologico che estetico.
In America fu proposta ufficialmente a New York nel 1965, nella grande mostra di arte astratta percettiva, nella quale si evidenziò la personalità di Poons; in Europa tali ricerche furono seguite da: Soto, Agam, Munari, Gerstner e Bury. Le opere Op sono anche definibili ottico-cinetiche nel senso che si include il movimento anche da parte del fruitore. Quando l’osservatore si sposta si ottengono effetti diversi. Dorfles sostiene: “il principio di ambiguità gestaltica su cui tali opere sono più volte impostate, la possibilità cioè di una doppia lettura d’un pattern visuale, costituisce una delle classiche ricerche della psicologia della Gestalt, e svela quella che è una nostra quotidiana modalità percettiva”.
Uno degli artisti maggiormente noti è senza dubbio il francese V. Vasarely, che con “Vega 200” nel 1968, portò all’attenzione di un vasto pubblico la OP ART, con una sorta di simulazione della terza dimensione ottenuta nella bidimensionalità di un quadro, attraverso la deformazione in senso sferico – l’effetto sfera che oggi conosciamo nei programmi di elaborazione grafica computerizzata- della immagine, e colori contrastanti. Afferma G. C. Argan: “La percezione del quadro è una percezione selezionata, organizzata, strutturata: un modello di percezione. Ha perciò una funzione essenzialmente educativa: insegna a percepire con chiarezza, avendo coscienza delle leggi fisiche e matematiche che fanno della percezione stessa un processo intellettivo”.
Le opere ed Albers invece ruotano quasi tutto nei contrasti cromatici e le forme geometriche semplici come il quadrato, giocate nei loro valori dimensionali, si prestano ad infinite combinazioni (vedi omaggio al quadrato del 1957). Nomi di spicco della corrente furono anche Max Bill, Bruno Munari ecc….