Il ritorno all’ordine

Alla fine della grande guerra si comincia a diffondere nel mondo delle espressioni artistiche una esigenza comune, derivante dal rifiuto degli eccessi portati avanti dalle Avanguardie, e dal bisogno di riferimenti stabili, porti sicuri dove rifugiarsi dopo i disastri della guerra. Queste variegate esigenze prenderanno il nome di “ritorno all’ordine”. Anche Picasso negli anni ’20 si espresse attraverso un linguaggio aderente a tale necessità. Fu orientato quindi a realizzare opere che esprimevano una ritrovata dimensione figurativa e una armonia derivata dal recupero della tradizione classica. Determinante per la svolta fu senz’altro l’esperienza del viaggio in Italia che lo condusse ad apprezzare da vicino le opere rinascimentali.
Il ritorno all’ordine si diffuse rapidamente in tutta Europa, non rimase un fenomeno legato a poche illustri figure di artisti… all’indomani della Prima guerra del resto la necessità di cercare nuovi assetti sociali, di ricostruire anche mentalmente le proprie identità culturali e stilistiche era un obiettivo sentito ovunque la guerra si fosse manifestata con particolare violenza. Il recupero dei grandi repertori classici, in termini di tecniche e iconografie era per molti la strada da percorrere. In Italia una generale diffusione del clima di ritorno all’ordine certamente fu esercitata dalla rivista “Valori plastici”, pubblicata fino al 1922, alla cui direzione era M. Broglio.

Lo stesso nome “valori plastici” era esemplificativo dell’arte che intendeva promuovere, un’arte che riprendesse appunto la tradizione classica come valore e che prediligesse le impostazioni chiare e sobrie. Collaboratori della rivista erano De Chirico, Savinio e Carrà. In Italia alla fine del 1916 infatti si era realizzato l’incontro tra Carrà, De Chirico e Savinio che avevano dato vita alla corrente denominata Metafisica. De Chirico, figlio di un ingegnere italiano, era nato in Grecia a Volos, e si era nutrito della mitologia di quel paese.
A Monaco nel 1906, entrò in contatto con la filosofia tedesca di quel periodo e quando si trasferì a Parigi nel 1910, ebbe modo di conoscere le opere dei pittori cubisti. Le sue opere quindi si alimentano di varie componenti e si inseriscono nel clima di generale ritorno all’ordine per via del costante riferimento, specie a partire dagli anni ’20, all’arte come mestiere, che teorizza anche in un suo saggio del 1919 dal titolo “il ritorno al mestiere”, e per il generale rifiuto agli sperimentalismi eccessivi delle avanguardie artistiche.

Altro inevitabile riferimento al clima di generale ripresa dei modelli classici è il gruppo italiano denominati dei sette pittori, altrimenti conosciuto come “Novecento”. I sette erano: Achille Funi, Mario Sironi, Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Emilio Malerba, Piero Marussing e Ubaldo Oppi. Fu La giornalista e critica d’arte Margherita Sarfatti a riunire per la prima volta questi artisti presso le sale della Galleria Pesaro di Milano, nel 1923. Il riferimento alla pittura rinascimentale, ma anche medievale, era un denominatore comune.

Il gruppo successivamente accolse moltissimi altri pittori, che la personalità carica di energia della Sarfatti era riuscita ad attirare. Essi si riconoscevano nel desiderio di recuperare la tradizione nazionale e nel rifiutare gli eccessi delle Avanguardie. Anche Carrà, de Chirico e Morandi parteciperanno alle iniziative svolte nell’ambito del gruppo Novecento. La successiva disgregazione di Novecento si dovrà, oltre agli inevitabili fattori di tipo politico che in quegli anni intervenivano in vari settori, anche per la eterogeneità dei personaggi presenti. Tuttavia l’esperienza ha portato all’evidenza protagonisti interessanti come Felice Casorati, che ha dato luogo ad una particolare tendenza denominata “Realismo magico”. Di Casorati si ricorda il “Ritratto di Silvana Cenni” del 1922, in cui riprende le atmosfere di Piero della Francesca, e “Gli scolari” del 1928, esposto alla Galleria di Arte moderna di Palermo.

Nel 1924 Novecento è alla Biennale di Venezia. In questo contesto ebbe modo di emergere la figura di Mario Sironi che espose un’opera destinata a diventare emblematica di questo generale clima di recupero del classico: “L’allieva”.