Futurismo

Il primo movimento significativo di avanguardia in Italia è stato il Futurismo, nato successivamente all’adesione di alcuni artisti italiani al Futurismo marinettiano, sorto nel 1909 a Parigi come movimento letterario, in seguito alla pubblicazione del “Manifesto del Futurismo”. Il Futurismo, si propose da subito come un movimento artistico in aperta rottura con il passato. Ci si voleva svincolare da quella situazione di stagnazione artistico-culturale in cui si trovava l’Italia, rivolgendosi alle esperienze ed alle novità che, in quel periodo, andavano diffondendosi in Europa. La vitalità che il futurismo recava in sè, esplose come una voglia da tempo repressa, con tutto il suo carico di novità. Se il Cubismo aveva incluso la dimensione del tempo all’interno di un’opera pittorica, al Futurismo spettava il ruolo di conferirvi velocità. Questo, principalmente, è stato l’aspetto innovativo e più originale del Futurismo, promosso da Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini, nel 1910, quando firmarono il “Manifesto della pittura Futurista”.
Il Futurismo oggi, pare avere concluso il suo periodo di ostracismo culturale, di avere pagato le eredità storiche che per lungo tempo lo hanno reso vittima di un equivoco, quello di essere stato spesso collegato ingiustamente a filo doppio con l’ideologia fascista. In realtà, se è vero che le connessioni vi furono, è pur vero che a difesa del Futurismo si oppongono oggi numerose riflessioni. Una di queste è che il più importante esponente del Futurismo in arte, Umberto Boccioni, morì in guerra, nel 1916, prima dell’avvento del Fascismo. Un’altra, che il Futurismo è nato come rifiuto del passato, mentre invece del recupero del passato il Fascismo si servì per i propri scopi propagandistici. 
Ad alimentare il nesso fascismo-futurismo furono senza dubbio alcuni proclami del Manifesto del futurismo, scritto da Marinetti, che recava la celebre frase che osannava alla guerra come “sola igiene del mondo” oltre naturalmente alla stessa adesione al fascismo dell’autore del manifesto. L’esaltazione della civiltà della macchina, il tendere a scardinare tutte le convenzioni e a stupire, con affermazioni anche pesanti come quella “noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie...” si inquadrarono poi per estensione, assurdamente, nello stesso ambito culturale. Al “Manifesto della Pittura Futurista” seguì il “Manifesto tecnico della pittura Futurista”, del 1912, che sicuramente precisò i contenuti più interessanti del movimento. Nello specifico, il manifesto tecnico delineava alcuni principi che risultano fondamentali alla comprensione dell’arte futurista, come quello relativo al gesto. “Il gesto– si afferma-, per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale: sarà decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale”. Il gesto quindi, visto quale componente essenziale del movimento veloce, capace di determinare, eternandola, la sensazione dinamica. Le “linee forza” servivano allo scopo. La LINEA, con tutto il suo carico direzionale, capace di generare il coinvolgimento psicologico dell’osservatore in relazione alla sua diversa direzionalità, diventa FORZA, e, come tale, concorre al dinamismo. Ecco allora il termine stesso dinamismo entrare nei titoli delle opere.
È Balla (1871-1958), o meglio, Futurballa, nome con il quale si firma a partire dal momento della sua adesione allo spirito del futurismo, a realizzare una delle opere che fu capace più di altre di visualizzare la continuità del movimento: “Dinamismo di un cane al guinzaglio” del 1912. Se nel manifesto tecnico si affermava che “per la persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano” nell’opera citata pare esemplificarsi tale affermazione.
Il Futurismo fu un movimento di ampio respiro, che coinvolse settori diversi della cultura e dell’arte come la poesia, il teatro, il cinema, l’architettura, l’arte sacra e la moda. Non deve pertanto apparire strano se Balla si ispirò ala fotografia per creare alcune sue opere…. Le precedenti cronofotografie di Muybridge e di Marey della fine dell’800, ne sono un esempio.
Le sovrapposizioni ritmiche e le successioni studiate di linee e colori, che caratterizzano maggiormente le opere di Balla nascono anche da un intenso rapporto con il colore. Nel 1918 Balla infatti scrive il “Manifesto del Colore”, dove l’artista esalta il ruolo del colore come mezzo espressivo del mondo interiore dell’artista, allineandosi, di fatto, alle ricerche che si stavano compiendo in Europa su temi analoghi. La sequenza delle rondini che volano fuori da una finestra, e l’opera che raffigura una ragazzina che saltella vicino ad una ringhiera, non possono dirsi estranee alle ricerche fatte sul colore e sugli effetti che esso produce, ma è certo che il tema del colore sarà approfondito maggiormente nelle opere relative alle compenetrazioni iridescenti che certamente anticipano le successive ricerche della Op Art. La semplicità che è- a suo dire- alla base della “perfetta verità degli elementi” in fondo è riconoscibile in ogni sua opera, anche se a prima vista potrebbe non sembrare. Balla perverrà in opere relative alle linee andamentali + successioni dinamiche all’approfondimento del tema del volo. Il volo non poteva non essere affrontato da dei pittori che si erano prefissi di esaltare la velocità… il movimento degli uccelli è reso ancor più vivo dalla sovrapposizione di alcune realtà statiche come ad esempio, una persiana. Una striscia di luce suggerisce il movimento dell’osservatore che è dentro e fuori dal quadro. Tutto si scrive con il gesto e con la luce.
               “Fuori dall’atmosfera in cui viviamo non esistono che tenebre noi Futuristi ascendiamo verso le vette più eccelse e più radiose e ci proclamiamo signori della luce, poiché già beviamo alle fonti vive del sole”.
La luce è tuttavia anche luce artificiale, in nome del progresso. L’opera “Lampada ad arco” di Balla è quella che più di altre porta all’estremo limite il concetto. La scomposizione della luce in infinite schegge di colore che sembrano schizzare veloci dalla loro fonte per irradiarsi nel cielo notturno di una città piena di vita.
Nel 1915 Balla, insieme questa volta a Depero, firma il “Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo” dove promuove l’idea di un’arte totale, tale da potere invadere vari ambiti del vivere: la moda e il teatro, il design la grafica pubblicitaria, la cucina ecc…ecc… La fusione totale è un desiderio di ricostruzione, Balla perverrà alla costruzione di veri “complessi plastici” dove utilizzerà dei materiali eterogenei uscendo dai limiti imposti della tela.

Vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme secondo I capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto”.
La luce e il movimento veloce che hanno di certo connotato le opere di Balla, hanno permeato anche la sua stessa vita. L’artista, in virtù dell’importanza assunta da questi due cardini sui quali ruotò vorticosamente il suo impeto artistico, darà come nome alle sue due figlie, Luce ed Elica.
               Boccioni (1882-1916) è l’esponente di maggior rilievo del gruppo. Nato a Reggio Calabria, si reca a Roma dove entra in contatto con Severini e soprattutto con Balla, che è già un pittore affermato. Nel 1907 si trova a Milano. Boccioni non fu solo pittore e scultore futurista, ma ne divenne anche il teorico. In un articolo dal titolo “Simultaneità futurista” comparso su “Lacerba” scriverà:”bisogna che il quadro sia la sintesi di quello che si ricorda e di quello che si vede. Bisogna rendere l’invisibile che si agita e vive al di là degli spessori, ciò che abbiamo a destra, a sinistra e dietro di noi, e non il piccolo quadrato di vita artificialmente chiuso come fra gli scenari di un Teatro”. Il carattere delle opere di Boccioni è senza dubbio particolare… la pennellata è veloce ed è stesa a piccoli tocchi di colore, capace di rendere visibile la complementarietà dello spazio e dell’oggetto. Nell’incredibile opera “La città che sale” del 1910, prevale su tutto colore e movimento: l’artista simultaneamente percepisce tutto ciò che accade e che si muove intorno a lui.
Quanto questo movimento fosse esterno è difficile dirlo. È piuttosto forse un movimento che nasce all’interno e diviene poi espressione del suo stato d’animo. In tal senso si potrebbe dire che l’opera si pone in linea con coeve ricerche di carattere espressionista. Il “Manifesto della scultura Futurista” è a firma di Boccioni. Per ironia della sorte, Boccioni che tanto amò la velocità, morirà cadendo da un cavallo in corsa, durante una esercitazione in guerra, nel 1916. Sant’Elia, che invece aveva determinato l’analogo movimento in architettura con il “manifesto dell’architettura Futurista” morirà anche lui, in guerra, giovanissimo.
L’architettura immaginata da Sant’Elia è visionaria, innovativa fino a prevedere situazioni che saranno poi riprese da film sulle città del futuro. Una città che svetta verso l’alto, con edifici privi di inutili fronzoli decorativi, edifici senza scale ma con ascensori in movimento, con strade che passano sopra e sotto come linee forza fatte d’asfalto, che giocano con diversi livelli. Una città con fabbriche, con strade divise per utenze diverse, una città di flussi e cemento. Il movimento continuo delle macchine e dei pedoni nei tapiroulant, avrebbe caratterizzato il dinamismo in architettura.
Carlo Carrà era insieme a Boccioni e Balla l’altro esponente di maggior rilievo del gruppo. Il fatto che Carrà successivamente seguirà altri percorsi personali, lontani dallo spirito futurista non deve stupire…. Egli infatti in un certo senso si pose nei confronti del Futurismo come Cézanne si era posto nei confronti dell’impressionismo. Artefice del Manifesto “la pittura dei suoni, rumori, odori”, Carrà, non spingerà la sua ricerca nell’ambito del dinamismo. Le sue opere conserveranno sempre un carattere diverso, e manterrà l’idea di un superamento, di una naturale evoluzione della sua arte verso mete diverse. Scriverà “Ogni uomo veramente sensibile di fronte al capolavoro passa per tre stati: adorazione, comprensione, superamento”.
Nel 1915 Carlo Carrà abbandona il gruppo per una insorta incompatibilità di idee artistiche. Sentiva il bisogno di identificare la sua personale cultura con la Storia dell’Arte Italiana. Nel 1917 partecipa, in seguito alla chiamata alle armi, al conflitto. Si rivela una esperienza devastante dalla quale tornerà con dei problemi di salute. Riprenderà successivamente a dipingere rivolgendo i suoi interessi alla pittura “Metafisica”, in seguito al fortunato incontro con De Chirico. Dopo la prima guerra mondiale tutto il gruppo Futurista si sfalderà; le diverse personalità che lo componevano andranno verso ricerche individuali nuove, che daranno anch’esse luogo ad altri successivi sviluppi.
Se in determinati sviluppi il Futurismo si pose come originale innovatore in altre possiamo cogliere comunque un rifarsi a concetti che in arte già esistevano. Uno di questi è rintracciabile in una delle tante dichiarazioni fatte nel “Manifesto tecnico della pittura” dove, tra le altre affermazioni, è scritto: “noi proclamiamo: che il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi. Non è una scoperta futurista. Si tratta invece di una certezza che già i costruttori bizantini avevano acquisito quando per smaterializzare la struttura delle loro chiese le rivestivano all’interno di mosaici, brillanti come di luce propria. La scomposizione della luce in mille riflessi dorati e colorati generava una smaterializzazione che era percepibile attraverso il movimento dell’osservatore. Questo, principio, riportato poi nelle cattedrali gotiche attraverso l’uso della luce filtrata in mille raggi colorati dalle imponenti vetrate istoriate, arriva fino a noi tramite le ricerche degli impressionisti e dei divisionisti per passare poi ai programmi dei Futuristi ai quali, se non d’esserne inventori, spetta il merito di aver considerato tali componenti come fondamentali, nella loro arte.