L’arte racconta il corpo

Premessa
Per fare brevemente il punto sulla rappresentazione del corpo nell’arte, si farà riferimento alla rappresentazione del corpo nudo, per capire come l’uomo abbia nel corso del tempo rappresentato se stesso, senza guardare a tutti quegli elementi che di volta in volta lo hanno identificato attraverso orpelli o attributi aggiunti al suo puro essere naturale.
Le rappresentazioni messe in atto dagli artisti possono essere viste sia come un riflesso diretto della percezione del sé sia come riflesso di ciò che il nostro corpo è per gli altri, analizzare il percorso da loro compiuto significa quindi poter costruire una mappa della percezione del sé e degli altri nella storia.
L’arte che racconta il corpo vuol essere quindi, un invito a comprendere come questo processo generativo di immagini si sia evoluto ed in che modo gli artisti abbiano saputo tradurre nelle loro opere i segnali dei mutamenti che hanno, nei secoli, riguardato la rappresentazione del corpo umano.
Si tenterà di pervenire ad una analisi iconologica delle opere che vada come afferma O. Calabrese- nel “Il linguaggio dell’Arte” Bompiani “dall’identificazione del soggetto a una lettura dell’opera che lega quest’ultima alla complessità della cultura e degli atteggiamenti mentali dell’epoca in cui essa è stata composta”.

L’arte ai suoi esordi non si pone solamente come un linguaggio utile a comunicare esperienze, ma si impone come una forma capace di interagire con le forze naturali o addirittura con il divino. Questo si evince proprio dalle prime rappresentazioni del corpo umano, come manifestano i dipinti rupestri e soprattutto come dimostra l’intenzione di ridurre a simbolo la rappresentazione corporea della donna, nella Venere di Willendorf di ben 25.000 anni a.C.

Venere di Willendorf
Venere di Willendorf

Si tratta di una scultura di appena 11 cm., in pietra calcarea, che contiene già tutta la complessità di un’opera d’arte nelle sue componenti simboliche e concettuali. Il viso della “Venere” è occultato da una sorta di “casco” di capelli, realizzato grazie ad una fitta decorazione detta “a conchiglie”. Il fatto che non vi sia alcuna traccia dei lineamenti del volto e che il ventre e il seno particolarmente accentuati ci spinge a considerare che, chi ha deciso di scolpire quella figura femminile, era già pienamente consapevole di stare costruendo un simbolo di fertilità.

Dea dei serpenti
Dea dei serpenti

Altra interessante tappa nell’evoluzione artistica è la cosiddetta “Dea dei serpenti”. Si tratta di una figura ricorrente nella scultura dell’antica civiltà minoica. La prorompente fisicità della “Dea dei Serpenti”, i cui seni emergono rotondi da un corpetto stretto in vita, si pone certamente oltre la rappresentazione simbolica della divinità ctonia, per assurgere a vera rappresentazione della donna, che detiene il potere della terra generatrice governando le forze (distruttrici e creatrici al tempo stesso), rappresentate dai due serpenti. La struttura dell’abito ricorda quasi l’armatura di una donna guerriera, ed enfatizza le forme corporee scoperte che sembrano irrompere nella scena della rappresentazione artistica, con una forza che vuole convincere della possibilità di garantire la continuità stessa della specie umana.

Kouroi
Kouroi

La rappresentazione del corpo umano tocca livelli altissimi nell’ambito dell’arte greca, già dal periodo arcaico.
I principali tipi di scultura arcaica sono i Kouroi, giovani uomini nudi fissati nell’atto di avanzare con la gamba sinistra. Le braccia sono dritte lungo i fianchi e i pugni chiusi. Lo sguardo è fisso e la bocca accenna appena ad un sorriso mentre i lunghi capelli sono raccolti in trecce.
Il carattere quasi astratto delle figure arcaiche cederà poi il passo alle figurazioni a carattere naturalistico che porteranno all’evoluto concetto di arte come mimesi.
I grandi scultori del V secolo saranno Mirone, Policleto e Fidia.
Nel periodo della cosiddetta “seconda classicità”, si cominceranno ad affermare in arte delle espressioni che vanno verso una maggiore sensibilità emotiva. Scopas, Prassitele e Lisippo nel IV sec. a. C. ne rappresentano gli sviluppi.
Prassitele in particolare ebbe la capacità di portare la divinità accanto all’uomo attraverso il semplice espediente di umanizzare le sue opere.

'Afrodite di Cnido
Afrodite di Cnido

L ‘Afrodite di Cnido mostrata insolitamente nuda, sembra avere da poco concluso un bagno. È come pervasa da una nota di languida sensualità, e l’austera classicità della figura si dissolve in un atteggiamento umano, anche grazie alle morbide gradazioni chiaroscurali utilizzate dallo scultore. I bronzi di Lisippo, segnano invece la fine del periodo classico e danno inizio al periodo ellenistico. Lisippo rivisita il canone di Policleto, alterandone le proporzioni e lo stesso equilibrio spaziale. Le proporzioni nelle sue opere si alterano raggiungendo un senso di instabilità e moto potenziale. Se osserviamo l’“Apoxyomenos”, possiamo notare le braccia piegate in avanti che denunciano una presa di possesso dello spazio circostante e rompono la consuetudine di realizzare dei volumi chiusi. Nel periodo successivo gli insegnamenti di Prassitele e Lisippo, genereranno una schiera di seguaci che proseguiranno idealmente la loro opera.

Nel periodo Ellenistico, ci si allontana dalla bellezza idealizzata perché ritenuta irreale e le opere artistiche tendono a riprodurre ora anche i difetti fisici e le caratteristiche dei volti.

Apoxyomenos
Apoxyomenos

Alla scuola di Pergamo appartiene quell’emblematica scultura denominata il “Galata morente”. L’accurata resa di particolari evidenzia un realismo inedito. Il pathos di cui è pervasa la figura del Galata ferito a morte, colpisce l’animo degli spettatori attuando un coinvolgimento emotivo che è tipico di questa nuova epoca.
L’arte scultorea greca, classica o ellenistica, si ergerà successivamente a modello per moltissimi artisti che cercheranno di volta in volta di eguagliarla, superarla, imitarla ma sempre mantenendo con essa un rapporto di speciale attenzione.

Già i romani, realizzeranno numerosissime copie dei capolavori greci. L’impatto con le opere originali portate a Roma come bottino di guerra non comportò soltanto una produzione di imitazioni, ma servì a dare stimoli nuovi agli artisti che diedero vita ad una produzione originale avente caratteri propri. A partire dal I secolo d.C. l’attenzione per la cura del corpo favorì la rappresentazione di un ideale maschile soltanto simile a quello greco, ma sostanzialmente aderente allo spirito dell’antica Roma. Il Mens sana in corpore sano di Giovenale suggeriva che non si doveva aspirare che a due beni soltanto, la sanità dell’anima e la salute del corpo.

Mosaico della Villa del Casale dove possiamo osservare giovani donne in costume da bagno
Mosaico della Villa del Casale dove possiamo osservare giovani donne in costume da bagno

A Piazza Armerina, in Sicilia, nella splendida Villa del Casale possiamo osservare giovani donne in costume da bagno, che esibiscono un corpo tonico e snello mentre si dedicano ad attività ludiche e sportive. Manifestazione di un culto del corpo e del benessere che era proprio della cultura stessa della civiltà romana.
Successivamente all’arte romana subentrerà quella paleocristiana, che seppure in un primo tempo imiterà volutamente gli schemi compositivi dell’arte romana, successivamente generò una iconografia di tipo fortemente simbolico, per cui la rappresentazione del corpo venne progressivamente modificata.
Nell’arte bizantina la rappresentazione del corpo subisce degli ulteriori cambiamenti. ”. Deve prevalere l’affermazione assoluta della spiritualità ed il corpo visto come espressione della materia patisce del concetto che nella materia può celarsi il male, a meno che l’opera dell’uomo non la indirizzi verso criteri geometrici, canonici, assoluti, non realisticamente configurabili.
La pittura bizantina, – affermano Caroli e Festa in “Tutti i volti dell’arte”- con i suoi rigidi canoni espressivi , con la scelta di concepire la pittura come uno schermo fra chi guarda e i Santi veri che stanno in Paradiso, e che non vengono rappresentati in modo realistico ma totalmente simbolico, è già una premessa all’astrattismo”.
L’estetica di Sant’Agostino, di cui l’arte medievale risulta per molti aspetti permeata, ci porta a considerare che la bellezza, (e quindi anche la bellezza che si riflette nel corpo umano) è una realtà oggettiva e non un puro ideale. Agostino sosteneva che il mondo non potrebbe mai mancare del requisito della bellezza, perché esso è creazione di Dio. Gli esseri umani, parte del mondo, non riescono a cogliere la bellezza proprio perché essendo essi stessi parte integrante della bellezza del mondo, non riescono a percepirla come unità, ma in ogni creazione esistono tracce della bellezza. Compito dell’arte è svelare queste tracce.
Spesso riguardo l’arte medievale ci si chiede cosa rimanga della rappresentazione corporea, vista l’esigenza di annullare la tridimensionalità e lo spessore proprio delle cose terrene…. Come afferma Tatarkiewicz nell’”Estetica medievale”si rileva “una frattura nella tradizione umanistica, un’interruzione cioè fra l’umanesimo dell’arte antica e quello dell’arte tardo-medievale”.
Tuttavia è lecito affermare che il corpo non scompare, ma vi si attribuisce una differente modalità di rappresentazione che corrisponde al mutamento della concezione ad esso legata.
È a tal riguardo opportuno fare riferimento ad un passo tratto dal volume “Storia della bellezza” di U. Eco. Afferma lo scrittore” Apparentemente il Medioevo non applica una matematica delle proporzioni alla valutazione o alla riproduzione del corpo umano. Si potrebbe pensare che gioca in questa disattenzione la svalutazione della corporeità in favore della Bellezza spirituale. Naturalmente non è estranea al mondo medievale maturo una valutazione del corpo umano come prodigio della Creazione come si trova in un testo di Tommaso d’Aquino”.

Madonna con Bambino" di Giovanni Pisano
“Madonna con Bambino” di Giovanni Pisano

Nella scultura gotica i Pisano, segneranno una svolta per il recupero dei volumi e dello spazio. Le forme divennero più plastiche e salde, acquistando nel contempo naturalismo e una certa “verità”. Le loro composizioni, benché a basso rilievo, agivano in uno spazio dove i piani di rappresentazione si sviluppavano in profondità. La “Madonna con Bambino” di Giovanni Pisano, del 1306, attenua la tensione della linea gotica, dissolvendola in un naturalismo che preluderà ad i futuri sviluppi del Rinascimento, quando ci si allontanerà dal precedente misticismo antinaturalistico di cui la cultura bizantina era promotrice.

Esaurite tutte le istanze del medioevo nelle sue declinazioni tardo-medievali si imporrà lentamente il linguaggio rinascimentale. Si recupera il linguaggio degli antichi e si vivifica dapprima attraverso l’opera di audaci precursori e poi grazie all’opera dei grandi artisti del Rinascimento maturo. Afferma Umberto Eco: “ il modello ideale degli artisti rinascimentali non è la nozione filosofica di proporzione medievale ma piuttosto quella incarnata dal Canone di Policleto”.

Masaccio, Adamo ed Eva della cappella Brancacci
Masaccio, Adamo ed Eva della cappella Brancacci

Nel 1300, Giotto contribuirà allo stacco dalla cultura figurativa precedente conferendo volume ai personaggi e collocandoli attraverso il chiaroscuro, in uno spazio architettonico reale ma sarà Masaccio che, raccogliendo l’eredità di Giotto, elaborerà un linguaggio inedito. Non a torto sarà considerato uno dei padri del Rinascimento. I suoi Adamo ed Eva della cappella Brancacci testimoniano nella loro nudità un forte sentimento di dolore e vergogna; cacciati dal Paradiso non possono che obbedire al gesto dell’angelo e il tentativo di coprirsi da parte di Eva mette in relazione il peccato commesso al senso del pudore, che d’ora in poi accompagnerà la sua esistenza.
Dopo questo passaggio, il Rinascimento maturo conferirà una nuova dignità al corpo che verrà considerato al centro di tutto, sede di quei rapporti analogici che si stabiliscono con l’universo.

Michelangelo, è senza alcun dubbio colui che eleva la rappresentazione del corpo umano a massima espressione della forma artistica. Egli partiva dal principio che la figura in fondo già esistesse all’interno del blocco di marmo da scolpire, occorreva solamente liberarla. La poetica del non finito michelangiolesco è stata interpretata da alcuni critici in tal senso: una drammatica lotta con la materia per liberare il corpo dell’uomo e metterlo in relazione attraverso la sua rivelazione nello spazio circostante, con la sua dimensione spirituale.

Uno dei dipinti più enigmatici di Michelangelo è quello della Sacra Famiglia, noto come “Tondo Doni”
Uno dei dipinti più enigmatici di Michelangelo è quello della Sacra Famiglia, noto come “Tondo Doni”

Michelangelo utilizza la rappresentazione del corpo per esprimere significati che non sempre risultano comprensibili. Possiamo fare certamente delle ipotesi, nel tentativo di decodificare i messaggi nascosti inseriti nei suoi progetti iconografici. Uno dei dipinti più enigmatici di Michelangelo è quello della Sacra Famiglia, noto come “Tondo Doni” in riferimento al nome del suo committente.
In molti si sono chiesti il perché di questa inconsueta iconografia, che vede la Madonna in primo piano nell’atto di ricevere il Bambino da Giuseppe, che alle sue spalle, amorevolmente lo porge verso Lei. Molti studiosi inoltre hanno visto nella figura del piccolo Giovanni Battista situato alle spalle della Sacra Famiglia, l’intermediario fra il mondo pagano e quello successivo all’umanità dopo la Verità rivelata, che si manifesta appunto con la venuta di Gesù.
 Pochi hanno però collegato il singolare gesto di “passare” il Bambino da un piano ad un altro, e alla presenza di quei corpi nudi sullo sfondo. Quel gruppo di uomini nudi alle spalle della Sacra Famiglia, non può non essere rilevante per interpretare il significato complessivo dell’opera. Sembra che il gesto di Giuseppe possa in qualche modo suggerire che Gesù è stato prelevato proprio da quella nuda umanità, che non necessariamente collegata al mondo pagano, rappresenta invece una umanità innocente, un mondo primordiale, alla quale non si può conferire alcuna condanna, solo per il fatto di non essere nata successivamente alla venuta del Cristo.

Opera di Raffaello

Raffaello caratterizzerà tutta la sua opera di una assidua ricerca di perfezione formale. Sublime interprete degli ideali estetici del Rinascimento, seppe coniugare in modo personale la visione spirituale del Cristianesimo con gli ideali classici, diventando un eccellente interprete dell’arte ufficiale della Chiesa del tempo. Ma attenzione, questo non deve generare l’equivoco che l’arte di Raffaello sia idealizzante. “Compito dell’artista – afferma a proposito di Raffaello, G.C. Argan – non è di correggere la sembianza illusoria, ma di rendere manifesta, dimostrare la verità della sembianza. E’ proprio per questa unità di contingente e trascendente nella solare evidenza della forma che l’arte di Raffaello è stata immediatamente capita, è diventata subito ed è rimasta popolare”.

Dopo questo periodo, che aveva visto il corpo umano protagonista della scena artistica e culturale in genere, la rappresentazione del corpo subisce una ulteriore riformulazione…. La Chiesa cattolica con la controriforma si irrigidirà su posizioni che coinvolgeranno la produzione artistica veicolando i modi per rappresentare il corpo umano. Lo studioso A. Forcellino in “1545. Gli ultimi giorni del Rinascimento” afferma :”Il processo di reinterpretazione dell’immagine attraverso la creatività dell’artista è bruscamente interrotto (…) a dimostrazione di questo poco poterono gli uomini di fronte alle mutate necessità celebrative del potere. Nella rappresentazione dell’allegoria, cioè della figura psicologica di un sentimento, la individualità della persona retrocede a favore della ridondanza degli attributi che la rendono riconoscibile e quindi immediatamente spendibile senza sforzo nel piano dell’azione pedagogica”.

Il corpo, nella sua fisicità, riemerge impetuoso e si impone nuovamente nella scena dell’arte nel periodo barocco.
Nel 1600 le sensuali rappresentazioni di nudi di donna di Rubens portano alla fusione tra sacro e profano, i corpi appaiono vivi e pulsanti sotto un incarnato roseo che si diffonde nelle forme rotonde e corpose, lontane da qualsiasi idealizzazione.
A queste forme attingerà di certo il nudo del rococò, celebrato dai dipinti di Watteau, Fragonard e Boucher.

Erano certo dipinti destinati ad una visione privata, e quindi non necessitava giustificarli attraverso la mitologia o l’allegoria, ma di certo costituiscono un primo importante esempio di arte del corpo che comincia ad assumere autonomia e ad auto manifestarsi come assoluta riproposizione del corpo e delle sensazioni che può suscitare.

F. Caroli in “Il volto dell’occidente”- del 2012 identifica proprio nella rappresentazione dell’uomo, del suo volto e del suo corpo “”la chiave più intima dell’arte occidentale”.

Il corpo dell’uomo e della donna sono mezzi per entrare in contatto con la natura, per recuperare quello spirito primitivo che ci consente di vivere come esseri nuovi, lontani dalle tentazioni di una società opprimente, falsa nei rapporti con le persone e addirittura nel rapporto con se stessi. Occorre recuperare la forma e il colore attingendo ad una società incontaminata come quella delle isole polinesiane dove si reca Gauguin. Gauguin fa scuola, anche e soprattutto quando va a vivere lontano. A lui dobbiamo in gran parte la svolta dell’arte occidentale del XX secolo.

Alla fine dell’800 l’”Urlo” di Munch si innalza ad icona dell’incomunicabilità con il suo forte grido d’angoscia universale pur nella sua totale chiusura all’interno dell’individuo.
Questa incapacità di registrare i sentimenti altrui– afferma Goleman nel suo ormai noto “Natura dell’intelligenza emotiva”- è un gravissimo deficit dell’intelligenza emotiva ed è una tragica menomazione del nostro essere umani. In qualunque tipo di rapporto, la radice dell’interesse per l’altro sta nell’entrare in sintonia emozionale, nella capacità di essere empatici”.
In arte adesso è la deformazione ad esprimere il reale rapporto del corpo con la propria mente e con il proprio intorno. Il corpo continua ad essere rappresentato, ma ad esso non si impongono più quei canoni estetici che ne avevano a lungo dettato i criteri di rappresentazione.

Gli artisti dell’Espressionismo ci portano a considerare che il corpo può anche essere diretta espressione del dolore e dei tormenti esistenziali.

Un nudo femminile di Schiele ci mostra una schiena che sembra quella di un animale. Il corpo nudo non è più l’espressione della perfezione e della bellezza, questa corrispondenza viene smantellata a favore dell’esigenza di comunicazione del disagio.
Un altro nudo femminile, dal titolo “Pubertà” di Munch, ci propone una giovane donna che non è riuscita a stabilire un buon rapporto con la sua trasformazione, che vede oscura e insondabile, come l’ombra che alle sue spalle si impone minacciosa.

Ma l’espressionismo non è solo comunicazione del disagio, esistono anche sentimenti di gioia che vogliono trovare nel corpo il modo migliore di esprimersi…. Matisse ci offre nudi femminili che mostrano la gioia dell’essere al mondo, e che si esprimono sia nella stasi voluttuosa che nel movimento di una danza.

Picasso, nelle “Demoiselles d’Avignon” realizza una totale ristrutturazione dell’immagine del corpo delle donne. Questi si offrono simultaneamente da più punti di vista tentando di stabilire con l’osservatore un rapporto diretto che lo obblighi a ricostruire l’immagine nella sua mente. Con questo dipinto, del 1907, Picasso rompe totalmente con la tradizionale modalità di rappresentazione del corpo nudo, ed attua una rivoluzione artistica che non potrà non avere conseguenze nell’arte successiva.

In aperta contraddizione con le scomposizioni attuate da Picasso troviamo nel 1917 il recupero da parte di Modigliani di una corporeità solida e sensuale che attinge direttamente dal repertorio italiano nel senso della tradizione e del gusto per la rappresentazione della fisicità e della bellezza. Riecheggiano nei corpi femminili di Modì le Veneri di Tiziano e Giorgione.
Interessante capire il rapporto con il pubblico del tempo. La mostra di Modigliani fu chiusa per lo scandalo suscitato proprio dalla presenza di quei nudi, espressivi e potenti, offerti allo sguardo dello spettatore nella loro monumentale bellezza.

Prima ancora di essere totalmente libero di manifestarsi a tutti con gioia e senza inibizioni, il corpo in arte diviene poi espressione di un’anima lacerata dalle guerre. La dissoluzione del corpo prevale in moltissime rappresentazioni sia scultoree che pittoriche. Un corpo dilaniato, svuotato di senso o reso oggetto. Certo, la realtà della guerra, ha inciso profondamente nelle produzioni artistiche che diventano quello specchio deformante che drammaticamente coincide con l’amara realtà dell’annullamento della considerazione del corpo come vita.

Questo processo che nasce dopo la Grande guerra, troverà poi il suo tragico epilogo con l’olocausto, con il quale tutte le rappresentazioni del corpo umano faranno i conti da quel momento in poi.

Nel 1920 il fotografo Man Ray realizza un rayogram dal titolo:”Appendiabiti”. Dietro un manichino appendiabiti appare il vero corpo di una modella nuda, con un solo gambaletto nero che accresce la sensazione che quel corpo altro non sia che l’appendiabiti stesso. La riuscita illusione di un corpo unico, parte artificiale parte reale, ci suggerisce che l’artista ha realizzato un’opera che assimila all’oggetto il corpo vero e assimila al vero il corpo finto, gettando un inquietante ponte tra realtà ed apparenza.

Casorati in “Conversazione platonica” del 1925 propone quel “ritorno all’ordine” che si ritiene essere necessario per ristabilire la quiete dopo la follia. Il corpo della donna del dipinto ha l’aspetto rassicurante delle veneri rinascimentali, occorre tornare al passato per rifugiarsi in quel mondo di equilibrio e di eterna armonia. Tuttavia il dipinto di Casorati manifesta una sottile inquietudine…. Forse vuole dirci che è troppo tardi per tornare indietro e si può portare avanti una conversazione platonica, come un amore che non si consuma, cristallizzato in un desiderio che diventa effettivamente inesprimibile.

il letto volante

Il corpo può esibire tutte le lacerazioni dell’animo umano. Frida Kahlo nel suo “il letto volante” del 1932, esibisce tutto il suo dolore per un aborto subito attraverso la rappresentazione di un corpo nudo e sanguinante in un letto, dal quale emergono come legati da un cordone ombelicale i segni di una esperienza vissuta e non metabolizzata, quasi a voler dire che il corpo a volte può anche essere un soggetto che agisce indipendentemente dalla nostra volontà, non obbedendoci, proprio come accade negli incubi in cui la nostra mente è libera e può indurci alla follia.
Nello stesso anno A. Giacometti realizza “Donna che cammina” in cui riecheggia la figura del greco Kouros di Milo, con la sua figura allungata e l’incedere solenne. Attraverso il recupero della scultura arcaica, cui rimandano anche le mutilazioni (la donna è rappresentata priva di testa e di braccia), Giacometti ci invita forse ad una fuga dal presente, che si prefigura precario e privo di solidità, effimero come l’incedere di quel corpo di donna, verso il futuro. A donna che cammina si associa uomo che cammina, drammatica rappresentazione dell’essere umano, reso filiforme da un qualcosa che lo corrode da dentro, minando la sua stessa presenza fisica nel mondo.


Il tema della “metamorfosi” tra uomo e animale è interpretato in vari modi dall’arte novecentesca.

Emblematico il caso di Savinio che realizza negli anni trenta dei ritratti con la testa di uccello. Uomini con teste di animali, donne con il corpo animale, come se questi tratti animali potessero rivelare del soggetto più di quanto i tratti umani non potessero raccontare.

Un modo di riflettere sull’identità dell’uomo contemporaneo spesso costretto ad utilizzare una maschera per potere esistere nella società del tempo. Francis Bacon diventa anche lui un interprete impietoso della condizione dell’uomo, isolato e deformato, testimone di uno stato di angoscia esistenziale nel voluto isolamento del soggetto che si esplicita nell’inesistenza dell’ambientazione. E siccome l’uomo di Bacon è la metafora di un uomo che esiste in virtù del suo ambiente sociale, i suoi dipinti manifestano quel disagio che si traduce nell’impossibilità di rappresentare il corpo come armonia.

L’arte contemporanea spesso ha voluto sollecitare nello spettatore una meditazione sui pericoli che minacciano il corpo e il suo intimo rapporto con la mente, mettendo in primo piano le problematiche legate al tema dell’identità e dell’accettazione di se stessi. Lo scrittore Pennac nel suo ultimo libro “Storia di un corpo” del 2012, ha affermato che oggi in arte il corpo, anche se eccessivamente e costantemente esibito, è invece sostanzialmente annientato, sminuito poco considerato. Si procederebbe quindi in alcuni casi verso una progressiva smaterializzazione del corpo, sempre più lontani da quella essenziale ricerca di armonia che risiede nel rapporto mente-corpo.

Gli anni ’70

Gli anni ’70 sono gli anni della “performance” e dell’”happening”, esibizioni in chiave di evento che precedono una nuova forma d’arte che assumerà il nome di “Body art” e che avrà come precursore Klein, e le “Anthropometrie”degli anni ’60.
La documentazione fotografica assume un valore documentario assoluto per l’opera. Anthropometrie fa riferimento ad un ciclo di opere in cui Klein assume il ruolo di regista, prendendo le distanze dall’esecuzione materiale dell’opera che viene interamente gestita dalle stesse modelle, che intingendosi di colore blu, si appoggiano poi al grande supporto verticale imprimendovi la loro impronta corporea. Ciò presuppone naturalmente che le modelle siano nude e che la sequenza possa essere documentata con delle immagini. Non vi è dunque alcun intervento diretto dell’artista in senso tradizionale, ma è l’idea che prevale sulla costruzione dell’opera che appare quasi auto-costituirsi e in cui la presenza dell’elemento corporeo diventa l’elemento dominante. Dal corpo pennello al corpo supporto il passo è breve….
Donne che rappresentano il corpo delle donne mettendo in gioco a volte, anche se stesse. Carolee Scheemann nel 1963 produce “Eye Body” dove espone il suo stesso corpo come “Territorio visuale” segnando il passaggio del corpo femminile, che fin ora era stato oggetto dell’opera d’arte, a soggetto della stessa. Alla performance è connesso a una ambientazione caotica e straniante, fatta di vetri rotti e di specchi e vari elementi di recupero. Riguardo questa esperienza l’artista alcuni anni dopo affermerà: ho deciso che volevo che il mio corpo fosse compreso nell’opera come materiale integrante”.

Gina Pane, Orlan, Beecroft e Abramovic sono innovative performer della Body art, agiscono attraverso eventi che vogliono portare all’attenzione problematiche vicine al loro essere donne, ma anche e soprattutto affrontano il tema del corpo e della sua riduzione ad oggetto. Per condannare la diffusione degli interventi estetici Orlan ricorre pesantemente ad essi modificando più volte il suo volto che diviene il supporto di numerose sperimentazioni artistiche che parlano del dramma della mancanza dell’identità.


La Performance di Orlan dal titolo “Omnipresence”, in cui l’artista si sottopone ad un intervento di chirurgia che segue le sue stesse direttive per una rimodellazione del volto, nel 1993 è stata trasmessa in diretta in 15 luoghi diversi del pianeta, fra i quali il Pompidou di Parigi.


Gina pane sperimenta essa stessa il dolore in “Azione sentimentale “ del 1973. il dolore riporta alla realtà il corpo, diventa testimonianza di un vero vissuto, e la documentazione fotografica si presta a definire l’immagine di questo dolore, essendo intesa come un’opera integrante alla performance realizzata.


Nel 1992 j. Deitch cura una mostra dal titolo “Post-Human”. L’arte definita da questa tendenza artistica porta avanti un concetto di corpo segnato dalle modificazioni che oggi lo riguardano, dall’ingegneria genetica alla chirurgia estetica, dall’avanzare delle pratiche di clonazione alla comunicazione virtuale. Possiamo fare riferimento agli intrecci di corpi realizzati dai fratelli Chapman, come in “Dna Zygotic”, ma anche alle sculture semoventi di McCarthy.
Il tailandese Tiravanja tenta con le sue opere evento di ristabilire un rapporto corpo-cibo, molto sentito a causa dei fenomeni di rifiuto del cibo e di identificazione con esso, due limiti estremi con cui occorre fare i conti. Organizza delle cene con il suo pubblico in ambienti pubblici o privati. Cucina per loro e utilizza i suoi “ospiti” come opere viventi, non replicabili e non più legate al concetto di prodotto tangibile, trasportabile e commerciabile.


Si chiude un secolo, il ‘900 e forse c’è speranza per un recupero…. F. Bonomi, nel suo “Lo potevo fare anch’io”, dissacrante disamina degli elementi di stupore e spessore presenti nell’arte contemporanea, scrive a riguardo del fotografo Mapplethorpe:”Inizia a guardare il corpo come un paesaggio formalmente perfetto, i muscoli come montagne illuminate da albe artificiali,delle luci stroboscopiche. L’individuo diventa natura sconfinata come le valli fotografate da Ansel Adams (…) il corpo diventa veicolo di bellezza assoluta ma anche uno schuttle per l’aldilà”.

All’immagine fotografica di Mapplethorpe, così viva e tangibile, si oppone quella scultorea di Antony Gormley  artista londinese, che ci propone anche lui un uomo accovacciato, chiuso in se stesso, quasi in posizione fetale. Gormley utilizza il suo stesso corpo per indurre gli osservatori a meditare sul senso di straniamento dell’uomo contemporaneo. Forse si augura una rinascita, che possa partire dalla ricomposizione di quell’immagine fatta di pixel, che ci fa pensare ad una immagine compressa, che ha perso definizione, per esistere solamente nella rete, spazio della nuova comunicazione, che forse rende soli proprio perché la comunicazione oggi, non passa più dal corpo reale, ma solo dalla sua immagine virtuale..