Il Caravaggio scomparso
Chissà dove si trova adesso l’opera di Caravaggio, trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo di Palermo nell’Ottobre del 1969. Chissà quanto è stata lesa questa città in termini di immagine per non avere protetto questa meravigliosa opera, e quindi per non avere permesso alle sue giovani generazioni di osservarla dal vero, di riceverne un vantaggio in termini di educazione alla bellezza.
Chissà inoltre quanto avrebbe reso in termini di formazione di future sensibilità artistiche questo capolavoro, il cui valore di mercato è deducibile da quello stimato per le altre opere dello stesso Caravaggio, ma che in realtà è un’opera inestimabile, se consideriamo che avrebbe potuto portare alla città di Palermo, in termini di ricaduta turistica, notevoli benefici economici. Non resta che sperare, nell’ipotesi che l’opera non sia ancora andata distrutta, che un giorno l’opera possa essere recuperata, magari da chi in questi anni, ha instancabilmente indagato al fine di restituirla alla collettività.
Lunghe ed accurate indagini hanno condotto all’ipotesi che il furto sia stato commissionato dalla mafia….
Ma perché la scelta sarebbe caduta proprio su questo dipinto? Trovare una ragione che non sia solamente legata al valore economico dell’opera forse, potrebbe gettare una diversa luce su di un mistero che dura ormai da troppo tempo.
Della Natività intanto resta solamente qualche foto, scattata ovviamente prima del furto. Una breve storia e una attenta analisi dell’immagine del dipinto ci possono dare un’idea del suo immenso valore e della perdita subita. Nel 1609 Caravaggio, dopo varie peripezie per il suo errare da esule (a causa del gravare sulla sua testa di una pena capitale per avere ucciso durante una lite tal Ranuccio Tomassoni), si trova a Palermo.
Realizza il dipinto “La Natività, coi Santi Lorenzo e Francesco”, con lo stesso spirito innovativo delle opere realizzate nel periodo del suo esilio. I toni, che sono certamente meno angosciosi degli ultimi suoi dipinti, sembrano adattarsi alla dolcezza del tema espresso: una Natività. Qui infatti, la paura di quel destino che l’artista, dopo la condanna alla pena capitale sentiva incombente, sembra stemperarsi in una speranza di salvezza.
La scena è quella della visita al Bambin Gesù appena nato. Come di consueto Caravaggio, rompe con l’iconografia tradizionale (che faceva riferimento ad una Madonna per niente provata e già inginocchiata con le mani giunte vicina al Bambino) e presenta invece una donna comune, stanca e un po’ dimessa, che sostiene a fatica toccandosi appena il ventre, ad indicare il recentissimo parto. I personaggi sono oltre alla Sacra Famiglia, i Santi Francesco e Lorenzo e un altro personaggio, non ancora bene identificato dalla critica. Povera è la scena e poca è la paglia per il giaciglio del Bambino, che sembra prendere la luce da una fonte esterna al suo piccolo corpo, disteso per terra….
Ai lati, Lorenzo e Francesco, (Santi simbolicamente presenti all’evento poiché l’oratorio è appunto quello di San Lorenzo e i committenti appartenevano alla Compagnia devota a Francesco), abbassano il capo riconoscendo il Salvatore. La testa di un bue, seppur in ombra, incombe sulla scena come se volesse anche lui guardare il Bambino Divino, dopo essersi fatto strada nel piccolo gruppo.
Dal buio un angelo appare ancora in volo. Reca una fascia dove è scritto GLORIA IN ECCELSIS DEO (Gloria a Dio nel più alto), Inno Angelico, canto liturgico della gioia natalizia.
Questo irrompere dell’angelo nella scena, non contrasta con la semplicità del gruppo familiare, che sembra quasi non avvedersi del suo arrivo. La presenza degli angeli, del resto, nella scena della Natività è consueta nell’arte… essa non viene quasi mai sottolineata, ma si intende come qualche cosa di implicito, essendo stati proprio gli angeli i primi ad avvisare i pastori della nascita di Gesù.
Lo stile è quindi quello tipico di Caravaggio, che ci porta ad immedesimarci umanamente nella scena invece di farci prendere le distanze da essa. Questo ci conduce alla lettura di un messaggio: Gesù è giunto tra noi come una presenza umile, semplice, umanamente vicina a noi, pur nella sua essenza divina.
Come sempre in Caravaggio c’è però qualcosa di non completamente manifesto…. Una intensa fonte di luce illumina le gambe del personaggio in primo piano (identificato dai critici con un anticonvenzionale San Giuseppe), voltosi indietro quasi incredulo a domandar qualcosa ad un altro personaggio, in piedi e dalla folta barba bianca, ritenuto essere un pastore – o un altro Santo- che, stancamente, si appoggia al suo bastone.
Una possibile diversa lettura, potrebbe invece portare a far riconoscere San Giuseppe nella figura del vecchio pastore barbato che in piedi si appoggia al bastone, e, nell’uomo in primo piano volto verso di lui, un personaggio – probabilmente giunto per ammirare il miracolo-, che dando le spalle all’osservatore, pare chiedere spiegazioni dell’evento.
Il dito indice di quest’uomo sembra inoltre essere inumidito da una goccia di sangue, come fosse stato punto…. Purtroppo la scomparsa della tela non consente di operare conferme basate su più approfonditi studi.
Questo particolare difficile da interpretare, getterebbe un ulteriore velo di mistero sulla scena… Per quale motivo infatti il dito indice del personaggio in primo piano dovrebbe essere sporco di sangue? La tesi avanzata da alcuni storici circa la presenza del sangue al solo scopo di prefigurare la futura crocifissione del Cristo, appare infatti debole e poco convincente…. Inoltre la forma della croce (premonitrice del destino del Cristo) è già evocata in alto in corrispondenza dell’ala in ombra dell’angelo, come possibile struttura del tetto della capanna.
Inoltre, quale potrebbe essere la domanda rivolta al personaggio in piedi (Giuseppe?) da parte del non ancora identificato personaggio in primo piano?… forse questa risposta non la sapremo mai, resta comunque la comune convinzione che questo dipinto sia un altro capolavoro di Caravaggio, che ha saputo regalarci l’intenso stupore di un miracolo che si ripete e che ci svela attraverso la sua dimensione più umana all’interno della quale noi ci riconosciamo, la dimensione dell’Essere Divino.