Palermo: aspetti tipici

Aspetti tipici

Da “Il soffio della Valanga” di S. Piazzese – (Sellerio 2004, pg 289): “Cominciavano a smantellare le bancarelle del mercato, disvelando pezzi di una città troppo pudica, che assediava di macchine la propria bellezza, o la occultava dietro le rovine sperando che la polvere dei secoli- o l’oblio- finissero di seppellirla. Una città sospesa tra agonia ed eccesso di vitalità”. Una breve descrizione, che a mio avviso dona ampiamente la reale condizione di Palermo, la mia città. 

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Ed è una sensazione a quanto pare anche condivisa da coloro i quali visitano Palermo con l’animo di cogliere quegli aspetti maggiormente autentici della città, quegli aspetti che fanno capire che Palermo è sospesa. Infatti, pur essendosi avviato un razionale recupero di molte aree e di parti del centro storico, pur essendosi avviati cantieri infrastrutturali per adeguarla ai flussi dinamici cui anche Palermo è soggetta, questa città appare ancora in uno stato di perenne inadeguatezza, nella compiuta valorizzazione delle sue straordinarie bellezze architettoniche e nella capacità di salvaguardare totalmente se stessa per il non sapere o per non volere (chissà forse proprio per quella sorta pudicizia rivelata da Piazzese) riconoscere le sue qualità. Eppure, in questo stato di perenne “agonia” – opportunamente mai portata alle estreme conseguenze – c’è veramente quell’eccesso di vitalità ovunque riconoscibile. Qui sta il fascino di questa città che non offre una immagine definita ma si concede alla interpretazione di chi la vuole leggere. Così ognuno che la ami potrà dire “Palermo per me è….” e mai “Palermo semplicemente è…”.

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Passo ad elencare qualche aspetto “tipico” della città, sottolineando come sia importante non trascurare ad esempio, la visita ai “mercati storici”. Quando si accenna ai mercati tradizionali della città di Palermo si pensa immediatamente al fascino tutto popolare della Vucciria, con le sue grida e i suoi colori, nel quale si conserva ancora la tipica usanza di abbanniare per esaltare la qualità delle merci. Si pensa al noto quadro di Guttuso e ai profumi intensi che si sprigionano dall’interno delle botteghe. Le strade lastricate bagnate dall’acqua utilizzata per tenere freschi i pesci nei banconi delle pescherie, la frutta, sapientemente esposta in una composizione di forme e colori apparentemente casuale.
La “semenza”, frutta secca, olive bianche e nere lucide e le lampadine sospese ad un semplice filo per illuminare l’interno delle botteghe. Questi ed altri particolari fanno di questo mercato un ambiente dove si riesce a cogliere forte la componente ancora araba della città, ed il mercato altro non è che un “suq”, con i suoi corridoi, le sue grida dense di sonorità mediterranee ed i profumi intensi delle merci esposte. Altri mercati tipici sono quelli di Borgo vecchio, del Capo e di Ballarò.

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Le tradizioni locali palermitane si esprimono particolarmente durante le ricorrenze religiose; il 2 Novembre, ad esempio, si usa festeggiare la ricorrenza dei “morti”. Si allestiscono un po’ ovunque dei mercatini rionali dove potere acquistare giocattoli da offrire ai bimbi nella notte tra l’uno e il due Novembre ed i tipici dolciumi del periodo. Oppure per San Giuseppe quando si allestiscono le cosiddette vampe e gli altarini con i pani votivi. Un aspetto particolarmente caratteristico di Palermo consiste nella capacità di conservare e tramandare di generazione in generazione antiche ricette di piatti tipici, che rendono la visita in città, particolarmente appetibile anche sotto il punto di vista gastronomico. L’originale gastronomia locale infatti si compone di sapori provenienti dalla cucina greca, araba e francese. Oltre ai rinomati dolci- come i cannoli e la cassata siciliana-, la vicinanza con il mare ha fatto sì che a Palermo si diffondessero ricette a base di pesce tra le quali spicca quella della “pasta con le sarde”. Le varie rosticcerie presenti nelle strade cittadine consentono inoltre di gustare oltre alle tipiche “arancine” anche i caratteristici pani con le panelle e crocchè e con la milza. Non manca naturalmente il pane con lo sgombro sott’olio, il “musso” e la “frittola”. Oggi si definisce elegantemente “cibo da strada”.

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Per rendere l’idea del particolare rapporto del palermitano con il “cibo da strada”, da strada palermitana aggiungo io, voglio prendere ancora una volta spunto dal libro di Piazzese “Il soffio della valanga” sopra citato. Al capitolo XV l’autore scrive: “I venditori di frittola, secondo Spotorno, erano psicologi nati. Studiavano la faccia del cliente e decidevano quali pezzi facevano al caso suo. Sceglievano al tatto, per antica convenzione. Tuffavano la mano sotto la mappina a scacchi che copriva il canestro di vimini con le frittole, rimestavano fino ad incontrare il pezzo giusto e lo deponevano con faccia impassibile sul foglio di carta oleata in precedenza fornito al cliente. Un giudizio insindacabile”.

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