Palermo ai tempi dei Basile

Il contesto artistico-culturale

Teatro Massimo
Teatro Massimo

A partire dalla seconda metà del 1800, la città di Palermo vive in un clima di particolare vivacità, economica e culturale. Sono presenti infatti alcune importanti figure dotate di eccezionali capacità imprenditoriali come i Florio e i Whitaker ma anche personaggi del mondo della scienza e della cultura, artisti e intellettuali che spingono verso una maggiore apertura in senso europeo. È il periodo in cui sorgono varie attività, per dirne alcune, i Cantieri navali, la fonderia Oretea e la fabbrica di mobili della ditta Ducrot. Le aspirazioni della borghesia emergente sono anche quelle di avere una città che possa competere con le altre città Europee. Si richiedono edifici per lo spettacolo e il tempo libero, ville e giardini e residenze di prestigio.
Queste richieste alimentano l’economia locale… molti artigiani, decoratori, mosaicisti, fabbri e vetrai saranno chiamati ad inserire negli edifici le proprie produzioni compatibilmente al diffondersi di un nuovo gusto che presto si adotterà in architettura: il Liberty. Il clima di crescita e di ottimismo caratterizzante i due decenni post-unitari era destinato comunque a scemare verso la fine del 1800. Afferma Rosario Lentini in un suo interessantissimo saggio dal titolo: ”Mercanti, imprenditori e artisti a Palermo nella II metà dell’800” sul tema dell’Esposizione Nazionale che si svolse a Palermo nel 1891-1892: “Nonostante l’enfasi e la retorica che accompagnarono l’evento la borghesia locale non poteva celebrare alcun trionfo nei settori più avanzati dell’industria nazionale perché il confronto con le aziende settentrionali rimarcava il divario crescente tra le due aree del Paese”. E ancora: “se il primo ventennio di storia unitaria aveva fatto registrare un andamento di progressiva crescita, sia in campo artistico che economico, dall’inizio degli anni ’90 si assiste al rallentamento delle principali attività industriali e commerciali, mentre in controtendenza al declino dell’apparato produttivo si accentuava la capacità degli intellettuali e degli artisti e degli uomini di scienza di sviluppare iniziative e intrecciare solidi legami con gli ambienti culturali europei”(…) “anche casa Florio, dopo la morte del senatore Ignazio nel 1891, mostrava I limiti delle proprie scelte strategiche”.

Ignazio J. a soli due anni dall’inaugurazione dei Cantieri navali da lui fondati nel 1903 dovette vendere la sua parte azionaria. La produzione di ceramica promossa dal senatore Ignazio nel 1884 invece, insieme alla ditta produttrice di Mobili di Ducrot, costituivano nel panorama industriale palermitano due capisaldi dell’economia e due realtà produttive di notevole valore. Infatti sia le suppellettili che gli arredi non solo erano molto richiesti all’interno delle residenze dell’aristocrazia e della borghesia palermitana del tempo, ma anche per l’arredo degli alberghi e degli edifici pubblici.
Questo particolare dimostra ancora di più che il clima di vivacità economica che si era instaurato nella Palermo di allora, non era solo merito della presenza di figure imprenditoriali, ma anche frutto dei fermenti di tipo artistico-culturale che garantivano la produzione di oggetti che possedevano un ottimo livello qualitativo. Una realtà che si avvaleva di artisti dunque, ma anche di maestranze artigiane che seppero realizzare prodotti in sintonia con i progettisti. Questo il quadro economico e artistico che si sottoponeva al confronto con la realtà produttiva nazionale nell’Esposizione palermitana del 1891. Per citare ancora R.Lentini: “non dagli ambienti industriali dell’Isola era scaturita la spinta a misurarsi con la concorrenza nazionale, bensì dagli artisti e dalla parte più vivace della socetà palermitana, rappresentata da uomini di cultura e da esponenti della borgesia, molto più proiettati verso l’esterno di quanto non fosse il ceto commerciale imprenditoriale”.

Questo in breve il quadro storico e sociale all’interno di cui si svolge l’attività dei Basile, architetti palermitani. Il padre, Giovan Battista Filippo, noto per l’avere progettato uno dei più bei teatri d’Europa, il Massimo, morto nel 1891 quando ancora il Teatro non era stato completato. Il figlio Ernesto, che divenne l’esponente maggiormente significativo del Liberty palermitano.

G.B.F. Basile

Giovan Battista Filippo Basile nasce a Palermo nel 1825. Viene avviato agli studi classici e a quelli di botanica (il padre è dipendente all’Orto Botanico di Palermo). Studia poi a Roma e nel 1854 è titolare presso l’Ateneo Palermitano del corso di Architettura Decorativa. Nel 1866 insegna, presso la “Scuola di Applicazione per Ingegneri e Architetti”, Storia dell’Architettura. Nel 1878 diviene membro della Giuria Internazionale per la sezione Belle Arti della Esposizione Universale di Parigi per la quale progetterà il Padiglione Ufficiale del Regno d’Italia. Scrive Giuseppe Quatriglio (“Tremila anni a Palermo” – A. Lombardi Editore – 1999): “Il segreto dell’armonia aveva cercato in lunghi anni di studi Giovan Battista Filippo Basile, il progettista del Teatro Massimo, e questo segreto aveva scoperto e proposto nei ritmi architettonici del tempio della musica. Il capolavoro che il Basile padre non potè portare a termine, ma che il figlio Ernesto consentì di inaugurare il 16 Maggio del 1897, contiene allegorie classiche e straordinari simbolismi”.
Il concorso per il Teatro era stato bandito nel 1864; era un concorso internazionale, perché si desiderava qualcosa di eccezionale per l’immagine di Palermo, un edificio che potesse avere un valore rappresentativo della sua millenaria cultura e della sua rinnovata importanza sotto il punto di vista sociale ed economico. Presiedeva la giuria Goffredo Semper che dichiarò vincitore Giovan Battista Filippo Basile. Per l’edificazione del Teatro fu scelta un’area situata tra il centro antico della città e la nuova linea d’espansione a settentrione.
Dovettero essere eseguite numerose demolizioni tra cui due importanti monasteri, quello di San Giuliano e delle Stimmate e parte dell’antica cinta muraria della città. Terzo in Europa per estensione, dopo l'”Operà” di Parigi e l'”Opernhaus” di Vienna, il Massimo venne progettato per contenere fino a circa 3000 spettatori. Una significativa dedica venne posta sul frontone del Teatro: “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Si avverte nel Massimo l’amore del Basile per le architetture siceliote per l’arte classica, portatrice dei valori di armonia e di matematica che Basile aveva profondamente studiato.

Tuttavia non poche furono le polemiche sorte riguardo la decisione di investire ingenti capitali per la costruzione di un edificio per lo spettacolo in una città, che non era ancora dotata in molte parti, dei servizi essenziali. Scrisse Edmondo De Amicis nel 1908 nel suo “Ricordi di un viaggio in Sicilia”: “Uscite da quell’enorme labirinto di viuzze oscure e sudice, che si chiama l’Albergheria, dove brulica una popolazione poverissima in migliaia di fetidi covi, che sono ancora I medesimi in cui si pigiavano gli arabi di nove secoli or sono, e vi trovate dinanzi a un “Teatro Massimo” il più grande e più splendido teatro d’Italia, che costò otto milioni, e di cui fu decretata la costruzione quando Palermo non aveva un ospedale che rispondesse ai più stretti bisogni”. Un clima di contraddizioni dunque è lo sfondo della Palermo dell’epoca, tra desiderio di competizione e rilancio, tra la povertà della massa che si condensava nelle vie del centro storico. Una città offesa dalle demolizioni nei suoi tessuti più antichi e una città orgogliosa della magnificenza del teatro più bello del mondo.

Le polemiche sorte intorno alla costruzione del Massimo, e lo stile di questo Teatro non devono però indurre a inquadrare la figura del Basile padre come un uomo scarsamente orientato alle tematiche a lui contemporanee. Si trattava invece di un uomo proteso al futuro, alle innovazioni e consapevole di quanto stava accadendo in Europa…. Nel 1887 anche grazie alla sua iniziativa nasceva a Palermo la Scuola artistico-industriale per “educare all’esercizio delle arti industriali” sul modello di quelle che si erano diffuse in Gran Bretagna successivamente alla Esposizione londinese del 1851. Basile voleva così eliminare la dicotomia tra la tradizione delle belle arti e le arti applicate allineandosi alle esperienze che si fondarono alla base della nascita del movimento Art Nouveau. La sua idea di rivalutazione delle arti applicate e delle arti tecniche era un riferirsi ad una idea illuminista finalizzata ad un progresso di tipo materiale che non fosse staccato da quello sociale.

Volendo usare un temine oggi molto adoperato nei confronti degli appassionati di storia medievale Basile fu anche un “mediavalista”. Questa passione lo condusse ad una attenta rilettura delle presenze architettoniche in Sicilia. Alcune sue opere denunciano evidenti riferimenti al patrimonio del medioevo isolano. Tuttavia nel Reclusorio delle Croci a Palermo, pur nei suoi marcati riferimenti di carattere storicistico, comincia a farsi strada un certo cambiamento.

Ernesto Basile, Architetto a Palermo tra tradizione e modernismo.

Quando si parla di Ernesto Basile il collegamento con l’attività paterna è immediato, se non altro per l’incarico ricevuto subito dopo la morte del padre di continuare nella direzione dei lavori del Teatro Massimo, iniziati nel 1875. Ernesto Basile, aveva osservato le evoluzioni del dibattito artistico culturale della sua epoca in Europa, si era nutrito della voglia di rinnovamento del padre, che nel 1889 aveva progettato il Villino Favarolo in piazza Virgilio a Palermo, primo esempio di uno stile nuovo che aveva trovato nella linea curva e sinuosa l’elemento costruttivo e decorativo insieme.

Ernesto inizia ufficialmente la sua attività a Palermo in occasione di uno degli eventi più importanti della città: l’Esposizione nazionale del 1891- 1892. Concepisce una composizione “vasta e grandiosa, su di un tema quanto mai significativo per quella prima esposizione nella quale la Sicilia, ricongiunta all’Italia, doveva presentarsi agli Italiani”. (Sciarra Borzì “Ernesto Basile: la tradizione locale rivissuta come memoria creativa”).

La critica non si è mostrata benevola nei confronti di questo esordio e Bellafiore osserva:

Il grande Basile, che pure era fornito di una cultura cosmopolita à la page, per l’edificio principale dell’Esposizione di Palermo si rifugia in un eclettismo confusionario il cui scopo evidente è la celebrazione delle glorie architettoniche locali”.

 L’Esposizione coprì una vasta area situata tra le attuali via Dante , via P.pe di Villafranca e via Libertà, (proprio qui in seguito sorgerà un quartiere moderno, concepito secondo i dettami del tempo). In quel clima di sperimentazioni eclettiche che comprendeva un rivivere di architetture gotico-veneziane, rinascimentali ecc… Basile pensò a ideare per l’ingresso principale dei padiglioni in stile arabo normanno. Il fatto che nelle sue prime opere tradisca ancora un attaccamento allo stile che in quel periodo andava per la maggiore, l’eclettismo, si inquadra del resto nel clima generale di ritardo che anche in Italia aveva visto giungere dopo, le istanze rinnovatrici più profonde dell’Art Nouveau.

Afferma Sciarra Borzì:“ se nell’esposizione del 1891 è il filone cosiddetto siculo-normanno ad affermarsi, in un eclettismo che riunisce spunti orientaleggianti e stilemi comunque polistilici cari all’Ottocento, nei successivi interventi sarà la predilezione per il Carnalivari a emergere con possibili commistioni lessicali relative al più antico linguaggio”.

Basile, come il padre aveva coltivato la passione per le architetture siciliane espresse nel basso Medioevo e quelle del 1400. Era cresciuto nel clima saturo di arte della sua regione, la Sicilia, apprezzandone la commistione di stili diversi e ne considerò la vastità degli apporti nel suo personale linguaggio.

È così che Ernesto Basile divenne l’interprete più originale dell’Art Nouveau in Sicilia. Non si può considerare il suo percorso iniziale come estraneo dai risultati che ottenne successivamente. La sua opera più tarda, quella più riuscita in senso liberty, farà emergere gli esisti di una meditazione che conterrà sempre in nuce quei fermenti che la determinarono. Ecco che non è difficile operare degli accostamenti: gli esterni di Villa Igiea a Palermo con i loggiati dell’atrio di pallazzo Abatellis del Carnalivari del 1490; oppure, gli archi della chiesa della Catena a Palermo con la facciata della centrale elettrica a Caltagirone del 1907; la cupola della Tavernetta del Tiro a Palermo con quella della chiesa della Martorana, del XII sec.

La formazione accanto al padre e l’ambiente culturale fatto di ottimismo e fiducia nel progresso, insieme alle radici antiche della cultura siciliana, costituiscono la più autentica chiave di lettura del del linguaggio architettonico espresso dal Basile. E anche se spesso lo si è voluto interprete delle sole istanze della borghesia in ascesa, riducendo il suo contributo innovatore, non bisogna dimenticare che all’interno della sua attività si collocano episodi che smentiscono tali affermazioni. Una di queste, la lunga collaborazione con la ditta Ducrot per realizzare dei mobili che potessero anche essere prodotti in serie, ed acquistati quindi, da una più vasta categoria di utenti. Questa collaborazione lascia intuire che alla base del suo lavoro si ponesse anche una rilevante apertura verso quelle istanze sociali che promuovevano un’arte a servizio della collettività.

Si è detto che la ricerca di una funzionalità che Basile espresse proprio all’interno di quella attività di progettista di mobili di arredo, lo faccia collocare all’interno dello spirito del suo tempo in modo tanto rilevante quanto quello della sua attività architettonica. L’attività di collaborazione con Ducrot fece sì che gli arredi disegnati dal Basile accedessero a vetrine di prestigio come le esposizioni internazionali di Torino del 1902 e di Venezia del 1903. Non solo, ma vennero considerate opere di design talmente apprezzate da essere recensite dalle riviste di arredamento più importanti. Basile è conosciuto ormai a livello nazionale…. Nel 1880 apre un suo studio a Roma e, nel 1890, torna nella sua città dove dal 1897 dirigerà l’Accademia di belle arti.

Basile aderisce sempre più allo spirito dell’Arte nuova pensando ai suoi progetti globalmente, dalla struttura al più piccolo particolare e, la decorazione, non sarà mai nelle sue opere una sterile applicazione di repertori.

Gli interventi architettonici di Basile non si limitarono alla residenza. Egli si cimentò anche in edifici di carattere pubblico, grandi e piccoli, come i chioschi, piccoli gioielli che, insieme ai villini conferiscono alla città di Palermo una decisa aria Liberty.

Villino Basile

Villino Ida Basile, dal nome della moglie di Ernesto Basile, si trova in via Siracusa a Palermo. Fu l’abitazione dei Basile per tanti anni. Venne progettata dall’architetto immaginando tutto. Dalla struttura agli arredi, dalla distribuzione funzionale degli ambienti al disegno del pavimento della sala da pranzo che si pone come fulcro compositivo dell’intera ccostruzione. Particolare la soluzione dell’angolo: in “Palermo Liberty” di Pirrone si legge: “il ruolo esaltante assegnato allo spigolo dell’edificio (…) non costituisce la semplice linea di intersezione fra due piani della facciate bensì l’elemento unico di avvio cui è affidato il ruolo di scandire una simmetria”, e continuando: “all’interno una semplicità distributiva rigorosamente legata ad un impianto ortogonale il cui rigore non sono tanto i pavimenti a sottolineare quanto i soffitti”.

È riduttivo pensare che Basile si ispiri al regno vegetale per ricavare un repertorio di decorazioni da applicare alle sue costruzioni…. è più corretto affermare che “gli emblemi fitomorfeggianti delle sue architetture suggeriscono le ragioni degli elementi costruttivi esaltandone le direttrici dominanti assurgono a strumenti simbolici dell’impaginato architettonico.(…) Sulla scorta della lezione paterna Ernesto Basile rimedita sul patrimonio architettonico siciliano, le sue prime prove derivate dal tardo gotico locale sono un riflesso di quella ricerca di una misura umana da lui identificata … con il precedente storico della civile cultura siciliana del vivere in città che contraddistingue i palazzi dell’architettura del tardo quattrocento isolano, cioè del cosiddetto gotico-catalano … Puntando su una nuova espressività di materiali forme e volumi Basile elabora un linguaggio modernista con una autonoma intonazione siciliana….”.

C‘è chi ha affermato che il Liberty sia stato accolto in Sicilia quasi solamente a livello stilistico, non contemplando i messaggi autentici che l’Art Nouveau aveva diffuso in Europa, in tal modo riducendo l’apporto innovativo del Basile, che viene individuato solamente in una ripresa degli stilemi proposti dalle architetture del movimento Art Nouveau, rivissuti in chiave locale.

Solamente riferimenti architettonici quindi, seppur reinterpretati sotto le suggestioni stilistiche di uno stile nuovo dunque? O qualcosa di più profondo e incisivo, reso vivo e vibrante dal riferimento costante al luogo, contro ogni globalizzazione di uno stile che, diffondendosi in ogni contesto, poteva (se non adeguatamente compreso) recare in sè un potenziale rischio di omologazione?

A me piace vederla così: lo stile personalissimo del Basile aderì intimamente alle istanze dell’Art Nouveau, ma non si lasciò travolgere da esso tanto da cancellare le radici della cultura architettonica siciliana. Anzi, proprio questo suo costante riferirsi alla tradizione, questa sua capacità di radicarsi nel luogo attraverso dei riferimenti più o meno evidenti, ma sempre percepibili, ha fatto sì che le architetture da lui progettate non fossero mai intese dai fruitori come episodi estranei al contesto della città. Il valore dell’opera basiliana si fonda proprio in questo suo lavoro di fusione tra il vecchio e il nuovo, tra tradizione e istanze rinnovamento. Forse la critica non aveva ancora raggiunto nei riguardi del Basile una giusta distanza per potere cogliere davvero il suo messaggio. Forse, l’opera di Ernesto Basile andrebbe riletta nell’ottica di ciò che sta accadendo oggi, quando si registra un indiscriminato diffondersi di un certo tipo di interventi che a torto si vogliono definire di architettura contemporanea, recando offesa all’architettura contemporanea di qualità. Anche se molti studiosi attenti hanno di recente riletto in modo più corretto la figura di Ernesto Basile nell’ambito del contesto dell’Art Nouveau, ritengo che per questo importante architetto palermitano vi sia ancora spazio per più adeguate interpretazioni.

Brevi cenni biografici ed elenco delle opere

Ernesto Basile nasce a Palermo nel 1857. Si laurea in Architettura e vince il concorso per assistente alla cattedra di Architettura tecnica presso la Scuola di applicazione per ingegneri e architetti di Palermo. Nel 1883 consegue la libera docenza e ottiene la cattedra. Partecipa a vari concorsi nazionali ed internazionali. Del 1874 è il progetto del villino Basile a Santa Flavia, presso Palermo. Nel 1887 progetta il chiosco Vicari a Piazza Verdi. Nel 1888 si occupa della sistemazione della “Nuova avenida de Libertacao” a Rio de Janeiro e progetta anche molti edifici ad essa destinati. Nel 1891 riceve l’incarico di progettare gli edifici della Esposizione Nazionale di Palermo. Nello stesso anno muore il padre, ed Ernesto viene rapidamente incaricato di allestire gli interni del Teatro Massimo di Palermo. Palazzo Bordonaro e Palazzo Francavilla sono del 1893. Nel 1895 insegna Architettura presso il Regio Istituto di Belle arti di Palermo e, nel 1896 inizia la sua collaborazione con i Florio. Dapprima produce oggetti per la loro ditta di Ceramica. In questo periodo si attesta anche l’inizio della collaborazione con la ditta Ducrot. Nel 1897 diventa direttore dell’Istituto di belle arti di Palermo. Nel 1898 compie un viaggio a Vienna dove ha modo di osservare le opere della Secessione viennese. L’anno seguente, animato dallo stesso spirito di scoperta è in Belgio, Francia e Olanda. Nel 1899 progetta lo splendido villino Florio i cui interni sono stati distrutti da un incendio negli anni ’60. Il 1900 lo vede impegnato per la Villa Igiea a Palermo. Nel 1902 è incaricato per il progetto di ampliamento del palazzo di Motecitorio a Roma: costruirà la nuova camera per i Deputati. Nei primi del ‘900 si susseguono le importanti mostre di mobili da lui creati presso le esposizioni di Torino e Venezia. Nel 1903 realizza villino Fassini (poi distrutto), e villino Basile. Nel 1905 lo Stand Florio. Nel 1906 è la volta della palazzina Deliella che venne illecitamente demolita negli anni ’50. Nel 1907 progetta la Centrale elettrica a Caltagirone e l’ampliamento del Grand Hotel et des Palmes a Palermo. Nel 1908 è la volta della Cassa di Risparmio in piazza Borsa a Palermo. Nel 1912 il Palazzo delle Assicirazioni Generali di Venezia in via Roma. Nel 1913 il Kursaal Biondo. Nel 1916 il Chiosco Ribaudo. Dal 1918 viene affiancato nella sua attività di architetto dai figli.
Morirà a Palermo nell’Agosto del 1932.