L’approccio storico

Catalogato con il numero 779 del Louvre, la Gioconda, nota anche come Monna Lisa, dipinta ad olio su tavola di pioppo (77×53 cm) è databile al 1503 e rappresenta tradizionalmente Lisa Gherardini, cioè “Monna” Lisa (da “Madonna” cioè “Signora”), moglie di Francesco del Giocondo (detta pertanto la “Gioconda”). Abbiamo già accennato al fatto che Leonardo portò con sé in Francia, nel 1516, la Gioconda, e che il re Francesco I, pagò l’opera ben 4000 ducati d’oro. Nel 1625, il ritratto venne descritto da Cassiano dal Pozzo tra le opere delle collezioni francesi del re. Pare che dal 1542 si trovasse al castello di Fontainebleau. A Luigi XIV si deve invece il trasferimento del quadro a Versailles. Alla fine della Rivoluzione francese, lo vediamo al Louvre. Per un periodo, Napoleone Bonaparte si permise il lusso di tenerlo nella sua camera da letto, prima di ricollocarlo al Museo. La Guerra Franco-Prussiana del 1870-1871 rese necessario mettere il dipinto al riparo in un luogo nascosto. Ciò accadde anche in occasione della prima e della seconda guerra mondiale. Per la prima volta il dipinto viene detto “la Joconda” in un documento del 1525 ,un elenco di dipinti che si trovano tra i beni di Gian Giacomo Caprotti detto “Salaì”, allievo di Leonardo. I Del Giocondo erano una ricca famiglia fiorentina e Francesco era considerato un “setaiolo” di alto rango, fornitore della Signoria Medicea. I documenti corrispondono al racconto del Vasari. Pare che nel 1500 Leonardo ritorni a Firenze e prenda alloggio presso il convento dei Servi di Maria Santissima Annunziata, dove i Del Giocondo avevano la Cappella di famiglia. L’ultimo documento di rilievo che riguarda Lisa Gherardini è il testamento di Francesco Del Giocondo, datato 1538.
Riguardo l’identità il ritratto mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra ma con il volto rivolto allo spettatore. La donna, indossa una veste, secondo la moda dell’epoca con un ricamo lungo il petto e maniche in tessuto diverso; sulla fronte appare un velo, trasparente, che lascia vedere i capelli che poi scendono armoniosamente sulla spalla. Le mani sono in primo piano e sullo sfondo, oltre il parapetto, si apre un vasto paesaggio ricco di picchi rocciosi e speroni e vi è un fiume e unico elemento antropico, un ponte..Vasari scrisse che “Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò”. La descrizione di Vasari, però fa emergere dei dubbi perché parla della peluria delle sopracciglia magnificamente dipinta e noi tutti sappiamo che non ne ha. Tale contraddizione ha dato luogo ad un fiorire di altre ipotesi. Di recente ad esempio, la studiosa Maike Vogt-Luerssen, dopo lunghe indagini ha affermato che la Gioconda sarebbe Isabella d’Aragona, duchessa di Milano, figlia d’Ippolita Maria Sforza. L’ipotesi alla fine più accreditata, nell’ormai sicura incertezza, è che si tratti di una sorta di modello più mentale che reale, che non muta nel fluire del trascorrere del tempo. Il suo sorriso altro non sarebbe che il riflesso di una armonia interiore, un senso di completezza che è del tutto naturale nel suo fondersi con gli elementi della natura rappresentati dal paesaggio alle sue spalle. Ci piace pensare che i sorride solamente perché è felice ed esprime calma e di tranquillità, di pace interiore.
A proposito di identità, un articolo recentissimo offre nuovi spunti:

LA GIOCONDA NON È MONNA LISA, MA L’AMANTE DI UN MEDICI

DI ELYSA RAZZINO 16 OTTOBRE 2009

  La Gioconda dipinta da Leonardo da Vinci non rappresenta la moglie di un mercante fiorentino, Monna Lisa del Giocondo, come solitamente si pensa, ma un’amante segreta di Giuliano de’ Medici. Lo sostiene lo storico dell’arte italiano Roberto Zapperi, che ha anticipato i risultati delle sue ricerche in un’intervista a tutta pagina sul Suddeutsche Zeitung.
Ora il dibattito sull’identità della Gioconda viene rilanciato da Zapperi, che pubblicherà i suoi studi in un libro che sarà pubblicato nel 2010 dall’editore tedesco C.H. Beck. Lo storico – si legge su un lancio Afp pubblicato sul sito di Les Echos – si basa sul resoconto di un incontro tra Leonardo da Vinci e il cardinale Luigi d’Aragona, redatto dal segretario di quest’ultimo. Al cardinale, che era andato a fargli visita al Clos Lucé, in Francia, Leonardo da Vinci avrebbe mostrato «numerosi manoscritti, ma solo tre tele». «Una di queste è certamente quella che è attualmente esposta al Louvre», afferma lo storico.
L’artista avrebbe detto a Luigi d’Aragona che l’opera gli era stata commissionata da Giuliano de’ Medici. Secondo Zapperi, raffigurerebbe quindi «una delle numerose amanti di quest’ultimoPacifica Brandani, con cui aveva avuto un figlio illegittimo, poco prima che lei morisse». Zapperi afferma che questa fonte è ampiamente conosciuta da tutti gli studiosi, «ma quasi sempre ignorata» a causa dell’eccessiva fiducia accordata al libro dell’italiano Giorgio Vasari, che nel 1550 aveva identificato la modella come «Lisa del Giocondo».
«Lisa non è quella che sorride al Louvre, non conosceva nemmeno Giuliano de’ Medici», conclude lo storico.

Posto che Leonardo sia partito per realizzare il dipinto della Monna Lisa, da un personaggio realmente esistente, siccome vi lavorò per lunghi anni, (come dimostrano le indagini ai raggi X), ebbe il tempo per trasformarlo in qualcosa di diverso, attuandovi via via quelle modifiche che lo resero ciò che ammiriamo oggi. Questo ragionamento è valido anche per il paesaggio alle spalle, che potrebbe quindi essere stato inizialmente desunto da un paesaggio reale e che poi, il filtro della memoria, avrebbe reso in paesaggio ideale, ricco di tutte quelle componenti naturali che Leonardo amava indagare.
 Il celebre storico dell’arte Argan che a mio avviso, ha centrato il senso del dipinto nel contesto storico e filosofico del suo tempo, scrivendo riguardo al paesaggio che appare dietro Monna Lisa:
 “infinitamente profondo, fatto di rocce corrose e sfaldate tra corsi d’acqua, con un’atmosfera satura di vapori in cui si rifrange e filtra la luce. Non è un paesaggio veduto né un paesaggio fantastico; è l’immagine della natura naturans, del farsi e disfarsi, del ciclico trapasso della materia dallo stato solido al liquido, all’atmosferico: la figura non è più l’opposto della natura, ma il termine ultimo del suo continuo evolvere” – G. C. Argan Storia dell’Arte Italiana, Sansoni vol. III, 1982.
La lettura del dipinto va quindi condotta in relazione allo sfondo, perché in caso contrario se ne traviserebbe il significato. La Monna Lisa è legata allo sfondo attraverso la tecnica dello sfumato e ciò la rende compatibile con la natura della quale rappresenta l’elemento essenziale. Non è un ritratto che vuole esaltare una posizione sociale, non reca gioielli o un abito particolarmente lussuoso. Mira all’universale. Leonardo attraverso la Gioconda voleva portare avanti una ricerca, attraverso l’arte pervenire alla verità. Indagare la natura e il suo mistero. Va quindi oltre la rappresentazione. Ecco perché cercare di capire qual’è l’identità della Gioconda è secondario. Infine è interessante porre l’accento sulla presenza del ponte, anche questo oggetto di dibattiti, se reale, o inventato. Il ponte potrebbe rappresentare il legame uomo-natura. Un esplicito riferimento alla filosofia del tempo e al rinnovato rapporto uomo natura nel rinascimento. Pare che alcuni studi depongano per il riconoscimento di un paesaggio reale alle spalle della Monna Lisa. Si tratterebbe di un paesaggio toscano, una zona dove l’Arno superate le campagne aretine, riceve le acque della Val di Chiana. Il ponte sarebbe riconoscibile come quello che scavalca tutt’oggi l’Arno e che venne costruito alla metà del XIII secolo. Ciò porterebbe inoltre ad identificare il punto d’osservazione di Leonardo, che corrisponderebbe al borgo di Quarata. In ogni caso sia che si tratti di luoghi inventati o ricostruiti sui ricordi o che si tratti di paesaggi reali, il senso vero della composizione non ne viene meno.