Arte del ‘500

E’ il 1550, e Giorgio Vasari, nelle sue “vite” consacra il 1500 a secolo classico per eccellenza, con un apogeo che vede al suo vertice la figura di Michelangelo e una decadenza, con quegli artisti che ne ripetono le forme. Il pensiero critico contemporaneo ha successivamente ampiamente rivalutato il Manierismo, facendolo addirittura risalire come fenomeno già talvolta compreso in seno allo stesso Classicismo. Il 1500 rimanda immediatamente al genio creativo di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Senza dubbio, proprio grazie alla presenza di queste tre figure dominanti il panorama storico-artistico, il 1500 rimane nell’immaginario collettivo, come una sorta di vetta sublime, di traguardo acquisito nell’ambito della cultura espressiva italiana. Questo secolo tuttavia, sia per gli eventi storici che lo caratterizzarono, sia per gli sconvolgimenti che si concretizzarono nell’universo scientifico, culturale, religioso e sociale in genere sarà segnato da profondi contrasti.
Nel 1500 Leonardo è a Firenze. Artista e scienziato, ritiene che l’esperienza della realtà debba essere diretta, e che l’arte possa essere uno strumento di tale ricerca. Nel 1506 realizza la sua opera più emblematica destinata a diventare nel tempo una delle opere pittoriche più note al mondo: la “Gioconda”. Dietro la donna, appare un paesaggio… “infinitamente profondo, fatto di rocce corrose e sfaldate tra corsi d’acqua, con un’atmosfera satura di vapori in cui si rifrange e filtra la luce. Non è un paesaggio veduto né un paesaggio fantastico; è l’immagine della natura naturans, del farsi e disfarsi, del ciclico trapasso della materia dallo stato solido al liquido, all’atmosferico: la figura non è più l’opposto della natura, ma il termine ultimo del suo continuo evolvere” – G. C. Argan Storia dell’Arte Italiana, Sansoni vol. III, 1982. 
Michelangelo sarà pittore, scultore e architetto. Egli dedicherà la sua vita alla ricerca della perfezione ideale secondo un criterio filosofico di stampo neoplatonico. Sosteneva, Michelangelo, che la scultura in fondo esistesse già all’interno del blocco di marmo, occorreva solamente liberarla. Ciò basti per comprendere come l’azione di Michelangelo si configura in un certo senso, come una missione condotta per l’uomo e per l’arte. Afferma Argan: “Michelangelo non si propone tanto di imitare o emulare l’antico quanto di trovare la sintesi, la continuità profonda tra la spiritualità sublimata dell’antico e la spiritualità cristiana o medievale, ben più tormentata e drammatica”. L’ansia e il tormento interiore costituiranno per Michelangelo la spinta per la creazione di molte delle sue opere artistiche. La drammatica espressione, il senso di smarrimento, la tensione verso la ricerca… tutti sentimenti di cui il secolo 1500, sarà portatore sono sintetizzati in questa straordinaria figura di artista che alla fine della ricerca intuirà il senso ultimo dell’esistenza con la poetica del “non finito”. Un artista che regalerà al mondo, oltre le sue numerosissime opere sublimi, la scultura della “Pietà”, simbolo della pietà divina, simbolo della pietà terrena. L’unione dell’umano e del divino nel comune sentimento di pietà universale verso tutte le creature della terra.
Raffaello caratterizzerà tutta la sua opera con una assidua ricerca di perfezione formale. Sublime interprete degli ideali estetici del Rinascimento, seppe coniugare in modo personale la visione spirituale del Cristianesimo con gli ideali classici diventando un eccellente interprete dell’arte ufficiale della Chiesa del tempo. Ma attenzione, questo non deve generare l’equivoco che l’arte di Raffaello sia idealizzante. “Compito dell’artista – afferma a proposito di Raffaello, G.C. Argan – non è di correggere la sembianza illusoria, ma di rendere manifesta, dimostrare la verità della sembianza. E’ proprio per questa unità di contingente e trascendente nella solare evidenza della forma che l’arte di Raffaello è stata immediatamente capita, è diventata subito ed è rimasta popolare; ed è stata l’arte ufficiale della Chiesa in un momento in cui era di fondamentale importanza difendere l’evidenza della rivelazione contro l’ansia del problema religioso”.
Nel 1508, Raffaello si trasferisce a Roma dove ha inizio una delle sue più importanti opere: la decorazione della “Stanza della Segnatura” nell’appartamento di Giulio II in Vaticano, in cui esprime magistralmente il tema della continuità ideale tra il pensiero antico e quello cristiano. La “Scuola d’Atene” presenta tutti i filosofi riuniti, fra i quali spiccano al centro Platone e Aristotele: uno indicante con un dito verso l’alto il mondo delle idee, l’altro a sua volta con la mano verso il basso, lo studio della natura. Le bellissime Madonne invece appartengono al periodo in cui, Raffaello si trova a Firenze, nel 1504. La cosiddetta scuola romana di Raffaello, si inserisce nella tendenza alla costante ripresa del mondo classico e nella reinterpretazione di scene desunte dalla mitologia e dalla iconografia astrologica. La scoperta della “Domus Aurea”, dona a Raffaello motivo di ispirazione e, le decorazioni parietali a grottesche, diventano un motivo ricorrente del suo repertorio decorativo.
Come per Raffaello fonte di ispirazione fu il ritrovamento della Domus Aurea, così per molti altri artisti del tempo, fattore non trascurabile fu la scoperta nel 1506 del gruppo scultoreo del Laocoonte a Roma. Questo rinvenimento archeologico, alimentò infatti un vero e proprio culto per le antichità classiche, che vennero prese a riferimento per la successiva produzione artistica. In sintesi si può affermare che l’arte del 1500 si divide in due periodi principali: uno che ricopre il primo trentennio, nel quale si raggiunge l’apice dell’arte rinascimentale anche se in esso si possono cogliere già i primi segnali del futuro sviluppo del Manierismo; e uno che comprende i successivi decenni caratterizzati, non dalla mera imitazione dei grandi maestri come spesso si tende ad affermare, bensì dalla nascita ed evoluzione di un particolare linguaggio denominato Manierismo. L’arte diventa essa stessa ricerca inquieta di un equilibrio, di una armonia ormai perduta. Allo scopo di comprenderne le motivazioni, è utile tentare di inquadrare il contesto storico-politico di questo periodo, anche perché, proprio in relazione a questo, cambiò la committenza, elemento di fondamentale importanza per l’evoluzione dell’arte cinquecentesca.
Infatti, ai Signori del 1400 si sostituiscono nel ‘500 le corti papali e quelle dei potenti sovrani. Nel corso del 1500, l’impostazione degli assetti politici europei muta anche in relazione alla riforma luterana, che, avendo messo in discussione la supremazia della Chiesa romana, causa una divisione del mondo cristiano. La Spagna assumerà un ruolo di rilievo con l’acquisizione della corona imperiale, mentre l’Italia perderà progressivamente quella autonomia che nel corso di tutto il 1400 l’aveva contraddistinta. Nel 1527 il “sacco di Roma” compiuto dalle truppe di Carlo V, assesta un duro colpo al già vacillante potere dei Papi, tanto da fare accettare a Clemente VII di incoronare Carlo V a Bologna nel 1530. Tra il 1500 e il 1525 Roma aveva rappresentato il ruolo di capitale del mondo Cattolico, e i Papi, come Giulio II, avevano avuto parte attiva nella politica e nell’arte. Agli inizi del 1500 erano infatti stati convogliati a Roma i massimi artisti dell’epoca come Bramante, Michelangelo e Raffaello.
Con il sacco di Roma molte personalità artistiche lasciano però la città e si avrà quella crisi profonda che contribuirà alla nascita delle manifestazioni artistiche tipiche del manierismo. Anche la sconfitta della Repubblica fiorentina determinerà un crollo degli ideali umanistici sui quali si era fondato gran parte del pensiero artistico. Firenze fino al primo decennio del 1500 aveva mantenuto un ruolo di preminenza nelle arti. Basti dire che qui avevano operato all’inizio proprio Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Solamente dopo il 1530, con il ritorno sulla scena fiorentina dei Medici, Firenze si riapproprierà di un ruolo nello sviluppo delle arti. Anche il mondo della scienza fornì il suo contributo agli sconvolgimenti socio- culturali e religiosi del tempo. Nel 1543, Copernico, esponendo la sua teoria sulle orbite dei pianeti, scardina la visione geocentrica del sistema tolemaico sul quale si fondava tutta la cosmologia aristotelica. Emerge un universo eliocentrico e la scienza si conferma come basata sull’indagine della realtà.
La Chiesa, vede sgretolarsi a poco a poco tutti i pilastri sui quali aveva basato le sue teorie… alleatasi con la Spagna, instaurerà il periodo della Controriforma per opporsi alla Riforma di Lutero, riaffermando l’autorità papale. La Chiesa cattolica con la controriforma si irrigidirà su posizioni che coinvolgeranno la produzione artistica poiché tenderà ad abolire ogni personale interpretazione dei testi sacri. Non rappresentando più la religione garanzia di verità assolute, l’arte risentirà di quel clima di ricerca ansiosa di verità e di Dio. In questo periodo si fondano nuovi ordini religiosi, come quello della Compagnia di Gesù di St. Ignazio di Loyola, che contribuirà alla diffusione di un certo tipo di arte.
L’intramontabile suggestione del mondo classico rimarrà tuttavia per tutto il corso del XVI secolo. Anche se la Chiesa, tenterà una restaurazione morale del Cristianesimo cercando di contenere l’interesse per il mondo pagano e per tutti i suoi simboli. Nel corso del 1500 emergeranno diverse scuole locali: quella veneta, quella lombarda e quella emiliana. Vedremo pertanto il prevalere del disegno nell’area toscana e romana, e quello del colore tonale nell’area veneta. La Repubblica veneziana in questo periodo mantiene la sua indipendenza. Crea una scuola con delle prerogative originali e un proprio linguaggio. Il colore assume, come accennato, un ruolo determinante e l’esperienza veneta si orienterà essenzialmente sulla ricerca di variazioni tonali, rese in tutte le sue variazioni di intensità e prive di contrasti. Si sviluppa quella che viene definita pittura tonale, in cui il colore e la luce, sono intesi quali elementi fondamentali della composizione.
Cresce l’interesse per la rappresentazione del paesaggio: Giorgione, nell’opera dal titolo “La tempesta”, rende il paesaggio vero ed unico protagonista dell’opera e, se “l’istante è, qui, quello che precede il temporale”, come afferma Argan, senza dubbio di una tempesta che spazza via le vecchie concezioni si tratta, quest’opera, profondamente riformatrice e rivoluzionaria per tutti i contenuti di cui si fa promotrice. Adesso, grazie a Giorgione possiamo affermare di notare un paesaggio con figure piuttosto che delle figure in un paesaggio. I raggi X eseguiti per indagine sull’opera rivelano che in una prima versione il quadro al posto dell’uomo presentava un’altra donna, che scendeva nell’acqua. Quale sia stato il ragionamento che condusse l’artista a ritornare sulla sua decisione rimarrà, aldilà delle possibili ipotesi formulabili, un mistero, come in fondo, un mistero sono un po’ i soggetti delle sue composizioni artistiche. Come la “tempesta” anche i “Tre filosofi” rappresenta un’opera emblematica di Giorgione. Anche qui vi è una mancanza di soggetti tradizionali che possono decifrarsi attraverso delineati e sperimentati codici di interpretazione. Altra personalità di immenso rilievo artistico è Tiziano.
Tiziano coinvolge l’osservatore in un modo da fargli rasentare la convinzione di una possibilità di totale immedesimazione, una fusione con le immagini del quadro. La compenetrazione rende l’uomo capace di comprendere la lezione di Dio. E in Tiziano tutto ruota sulla sapiente disposizione delle figure, dei movimenti che creano spirali, vortici dai quali è difficile uscire, staccarsi. Egli  basa la sua arte su una maggiore dinamicità delle figure e sulla grandiosità compositiva. Ma questo suo modo di saper rendere il movimento non può non derivare da una veloce resa dell’immagine iniziale. E’ come, cioè, se bloccasse tutto i tempi rapidissimi e poi definisse tutti i particolari successivamente, per confermare l’emozione provata in primo luogo da egli stesso. In Tiziano troviamo una libertà di pose e una vitalità che si impongono come realtà e negli stacchi di luce e di ombre, risaltano immagini espresse in composizioni complesse. L’”Assunta” dei Frari a Venezia, del 1516, vede una Madonna che sale al cielo e in questo moto ascendente coinvolge tutto l’intorno che sembra aspirato in un vortice serpentinato. Il colore azzurro-grigio dietro gli apostoli, si stempera verso l’arancione del cielo del Paradiso. Altra opera straordinaria di Tiziano, è il “Ritratto di Paolo Farnese coi nipoti Alessandro e Ottavio”- 1546-. Qui Tiziano riesce a cogliere la psicologia del personaggio che dice tutto dalla sua espressione. Il Papa è mostrato vecchio e debole, ma trasuda una energia incredibile…forse Tiziano rivede un po’ se stesso da vecchio, e conferisce a questa immagine una vitalità espressiva fortissima.
La vita di Tiziano fu estremamente lunga (1487-1576), ed egli non si stancò mai di dipingere. È quindi normale che nel corso della sua vita il suo linguaggio si sia evoluto verso nuove forme espressive. Due opere a confronto, lo stesso soggetto: il “Cristo coronato di spine”. Quello del 1542, e quello realizzato nel 1570. Si può notare che l’uso della luce è estremamente cambiato. La superficie, che prima faceva spandere la luce nella materia del quadro, conferendo morbidamente volume pur nella dinamicità della composizione, ora si dissolve in una molteplicità di tocchi vibranti di luce, più caldi, e l’effetto è molto più drammatico e al contempo realistico. Nel 1555 aveva eseguito il suo “Autoritratto”. È come se il pittore emergesse dal fondo solamente grazie alla poca luce filtrata ed è come se essa ne rivelasse l’essenza. Un uomo estremamente intenso nell’espressione e nello sguardo che appare inumidito, sentitamente commosso da qualcosa che non vede al di fuori di sé, ma dentro sé. E quella stessa luce che rivela così delicatamente la sua intima verità, spara sulle superfici anonime dell’apparenza esterna, la camicia che indossa, il tavolino sul quale è poggiata una mano.
Grazie alla critica moderna si è avuta una rivalutazione del Manierismo, che dal 1600 fino alla fine del 1800, fu giudicato se non in modo sempre negativo, sicuramente poco aderente alla reale portata artistica. Il manierismo può anch’esso suddividersi in un primo e in un secondo manierismo. Il primo si può inquadrare dal 1520/30, si attesta alla Toscana dove troviamo tre artisti: Beccafumi, Rosso Fiorentino e Pontormo.
Ed è proprio dalla loro opera che, nella II decade del 500 si sviluppa la tendenza pittorica del Manierismo.
Domenico Beccafumi detto Mecherino si forma a Roma intorno al 1510. Ebbe una particolare tendenza all’utilizzo della luce realizzando nelle sue opere degli inediti effetti di colore-luce-ombra. Pontormo è noto per il suo sovversivo senso del colore. Un colore irreale, incoerente, livido eppure chiaro e luminoso nelle gradazioni tonali dei colori puri. La composizione delle figure, irreale, si evidenzia in una delle opere più note: la “Deposizione”. Osservando il quadro notiamo subito una incoerenza. Dove si poggia il peso del Cristo? Come si manifesta, visto che i personaggi che lo reggono non mostrano tensione dei muscoli, e tengono la postura dei piedi in punta, come se dovessero danzare piuttosto che sostenere? Le figure sembrano agitarsi, non per esprimere un evento tragico, ma per assecondare la composizione di un ritmo, di un ballo. A questo contribuisce il colore, reso senza luci né ombre.
Rosso Fiorentino è noto per la “Deposizione” di Volterra, dai colori squillanti, intensi e dai gesti scomposti. Le figure sono come geometrizzate quasi a sottolineare la tragicità di un evento che irrigidisce nel dolore. Gli uomini sembrano indaffarati nel deporre il Cristo come se si trattasse di un lavoro da compiere con estrema cura. Solo l’immagine del volto del Cristo richiama un senso di spiritualità. Egli sorride, come in una beatitudine ritrovata dopo il dolore. E i colori gridano, ma non esprimono gioia, liberazione, ma la condanna terrena dell’uomo imprigionato da una condizione che non lo allontanerà mai dalla presenza della morte.
Nel Veneto invece opereranno Paolo Veronese, noto per gli affreschi delle ville nobiliari venete, e Tintoretto che si esprime con violenti contrasti di luce e ombra che conferiscono particolare drammaticità alle opere. Veronese ama i colori chiari, i toni freddi e gli effetti di nitida trasparenza. Passato alla storia per l’avere saputo esprimere nelle sue opere il gusto della gioia di vivere e le fastosità della vita mondana, crea opere a sfondo allegorico.
Una delle sue composizioni più note è la decorazione di Villa Barbaro a Maser del 1561. Uno dei particolari dell’affresco più noti al pubblico è senza dubbio quello della Giustiniani-Barbaro al balcone, presente nella volta della sala chiamata dell’Olimpo. Qui più che altrove si notano, oltre alle perfette armonie tra la struttura architettonica e gli affreschi, le espressioni dei personaggi, quasi colti in gesti casuali. Tutto è come nell’atto di rappresentare … Veronese fissa i personaggi nella luce e nel colore, come presi prima delle fasi di ripresa di un film, prima del ciak.
Tintoretto invece, dipinge con pennellate di luce rapide, accennate eppure definite, la sua è una concezione molto evoluta che desidera suscitare rapidamente sensazioni visive, le immagini sono come messe in scena, per colpire più che per raccontare. C’è quasi sempre ritmo, nelle sue composizioni. Un ritmo dato dalla ripetizione delle linee, dalla direzionalità dei gesti, dalla ripetitività di determinati contrasti. E tutto è dramma e nel gioco di luci ed ombre, si concretizza la struggente, solenne essenzialità dell’evento. L’opera dal titolo “ultima cena” del 1594, trasporta l’osservatore dentro la dimensione del quadro. Questo coinvolgimento il pittore lo ottiene attraverso la composizione delle figure che sembrano popolare uno spazio realmente esistente, se non nella verosimiglianza reale, sicuramente in quella del piano emotivo. L’improvvisa luminosità che appare vibrante sulla tela come materia viva, è accentuata da profondi toni scuri.
Infine un cenno alla pittura emiliana del tempo che si esprimerà attraverso il suo massimo esponente: il Correggio, e che determinerà successivamente la nascita della scuola eclettica dei Carracci che fondarono l’accademia degli Incamminati. In Emilia il manierismo fu inoltre diffuso dal Parmigianino a Bologna. Egli riceve dal Correggio la tendenza ad una eccezionale morbidezza del disegno che si mescola ad un gusto per le forme sinuose e allungate solennemente espresse nel suo noto capolavoro: “La Madonna dal collo lungo” del 1534. L’eleganza predomina sulla bellezza. L’atteggiamento sulla realtà delle forme che sono contraddette, per assecondare i contorni lineari del disegno allungato.
Continuatore del Parmigianino, sarà il Primaticcio, che contribuì alla nascita della scuola di Fointainebleau.