Erice

Nome Abitanti: ericini
Popolazione (2012): 28.012
CAP: 91016
Provincia: Trapani (TP)
Codice Istat: 081008
Codice Catastale: D423
Coordinate GPS (Lat Lng): 38.03818, 12.5860
Altitudine (m. s.l.m.): 751
Patrono: Maria SS. di Custonaci
Giorno festivo: ultimo mercoledì di agosto
Altre informazioni


Erice, posta sulla sommità del monte omonimo è oggi famosa oltre che per le sue bellezze artistiche e naturali, anche per i convegni fra scienziati di fama internazionale, che si svolgono presso Centro Internazionale di Cultura Scientifica Ettore Majorana che vi ha sede dagli anni Sessanta. La recente attivazione della “cabinovia” Trapani-Erice, consente inoltre oggi di raggiungere agevolmente questa località da Trapani. L’antico centro abitato presenta una singolare forma triangolare in relazione probabilmente alla particolare sacralità che il luogo ha ricevuto sin dalle sue origini. Fondata dagli Elimi, Erice fra l’VIII e il V secolo a.C. fu un centro della colonizzazione fenicia e nel III secolo a.C. venne conquistata dai Cartaginesi.
Secondo una antica leggenda sarebbe stata fondata dal figlio di Afrodite Eryx, che in onore della madre, avrebbe fatto erigere il celebre Santuario dedicato alla dea della fecondità, identificata dai Fenici con Astarte, dai Greci con Afrodite e dai Romani detta Venere Ericina. Alcuni scavi del 1932 testimonierebbero l’esistenza di questo Santuario sull’area che fu occupata dal Castello normanno; Infatti, in tale sito, sarebbero state ritrovate tracce di un camminamento e di una scala sotterranea, ed il cosiddetto “pozzo di Venere” dove, secondo il mito, le sacerdotesse si immergevano dopo i sacri riti. Sembra, inoltre, che il tempio di Venere fosse orientato da oriente ad occidente. Il culto della divinità fu presumibilmente iniziato dai Sicani i quali elevarono una piccola ara scoperta nel centro del “Thèmenos” (il recinto sacro alla Dea).
Successivamente, gli Elimi e i Fenicio-Cartaginesi accrebbero la fama del santuario, facendo di Erice centro religioso non solo del paese elimo, ma di tutti i popoli del mediterraneo. I Punici, che identificarono nella Dea la loro Astarte, introdussero usanze tipicamente orientali come ad esempio il mantenimento delle schiere di colombe e tutta la complessa figurazione simbolica dei culti orientali. Come l’ariete, simbolo della fecondità, la colomba era sacra a Venere. Attorno alle mura del santuario svolazzavano tutto l’anno grandi schiere di colombe bianche e solo verso la metà del mese di agosto esse si allontanavano ed avevano allora inizio le feste in onore di Venere, le Anagogìe che segnavano la fine dell’anno rituale.
Durante il periodo di assenza delle colombe il tempio veniva ornato in attesa del loro ritorno che avveniva puntualmente dopo nove giorni. Esse, guidate da una loro simile dalle penne rosse (Venere), si posavano sulle mura del tempio ed allora cominciavano con grande solennità i riti delle feste Katagogìe. Durante gli anni gli abitanti fortificarono il sito fino a rendere pressoché inespugnabile il territorio il cui patrimonio si arricchì soprattutto grazie ai fedeli che recavano in omaggio i più svariati doni: oro, vasellame, statue.
Dopo le guerre puniche la pax romana sminuì l’importanza della fortezza, ma il culto della Dea non venne abbandonato dai Romani, che arricchirono con attenzione il sito che difesero con un corpo di duecento legionari, detti i “Venerei”. Negli anni che seguirono il tempio conobbe il suo massimo splendore, la città fu meta di magistrati ed altre personalità che giungendovi non trascuravano di recare omaggio alla Dea. La cura del tempio spettò al questore di Lilibeo che aveva l’obbligo di risiedere ad Erice per buona parte dell’anno. Nell’anno 75 a.C. fu Cicerone a tenere la questura di Lilibeo e questo periodo fu particolarmente fiorente per la città e per il tempio.

Sotto i bizantini la cittadina dovette perdere l’autonomia comunale, poiché il suo nome non appare mai in documenti dell’epoca. Dopo un lunghissimo silenzio delle fonti che giunge sino alla metà del XII secolo, le descrizioni di Erice, ribattezzata dagli arabi Gebel al-Hamed rimarcheranno la bellezza paesaggistica della montagna ed il suo ruolo difensivo. Edrisi, il geografo arabo che visse intorno al 1100, così si esprimeva su Erice: “…una montagna enorme, di superba cima e di alti pinnacoli, difendevole, ripida… al sommo di essa stendesi un territorio pianeggiante da seminare, abbonda l’acqua. Havvi una fortezza che non si custodisce, né alcuno vi abita…”. La fortezza cui si riferisce lo storico doveva in realtà essere quanto restava dell’antica cinta muraria urbana risalente all’età punico-romana, dato che al tempo in cui scrive Edrisi non esisteva il castello che venne innalzato dai Normanni.
Con i Normanni, Erice riacquistò l’importanza perduta divenendo nuovamente uno dei capisaldi dell’isola e i nuovi dominatori la rinominarono Monte San Giuliano, edificandovi la prima chiesa cristiana di Erice dedicata alla Madonna della Neve.. Sui resti del tempio venne eretto il castello che divenne una fortezza militare, con un ponte levatoio, sostituito più tardi da un viadotto con gradini, che congiungeva la rupe al piano circostante su cui sorgono le ulteriori opere della fortezza cioè tre torri congiunte da due cortine con merlatura bifora. Altre due cortine più lunghe chiudono il recinto della fortezza che risulta così divisa in due parti integrantisi a vicenda ed egualmente inespugnabili. Probabilmente il castello venne restaurato dagli Aragonesi. Al periodo aragonese risale la costruzione della Chiesa Madre che si edificò su ordine di Federico d’Aragona che soggiornò ad Erice durante la guerra del Vespro.
Durante questo periodo la città crebbe anche da un punto di vista economico soprattutto perché divenne capoluogo di un grosso comune agricolo. Nel 1407 Re Alfonso, per premiare l’attaccamento del paese alla Corona e per i servizi resi dal popolo anche con contributi in denaro, decretò Erice città non vendibile né disgregabile, ma nel 1555, nonostante tale privilegio, Carlo V tentò di vendere la città giustificando tale decisione con la necessità di creare un fondo per la fortificazione delle coste, in quel tempo oppresse dalle incursioni piratesche. Ma nonostante ciò il popolo riuscì a riscattarsi per mantenere i privilegi di “Terra Regia” che le erano stati precedentemente concessi. Per tale ragione il Re concesse ad Erice di fregiarsi con l’appellativo di “Excelsa civitas.
Negli anni che seguirono la città di Erice, incrementa la propria produzione agricola e la pastorizia e vede fiorire varie attività artigianali, culturali e l’edilizia. Intorno al 1816, (periodo in cui si creò il Regno delle due Sicilie e venne sancita la riforma amministrativa che metteva fine all’antico ordinamento feudale e la costituzione di uno Stato moderno a potere accentrato), Erice perdette i suoi antichi privilegi assoggettandosi, dal punto di vista amministrativo, a Trapani.

Erice è anche nota per la produzione di ottimi dolcetti alla mandorla, che si possono acquistare nelle pasticcerie specializzate presenti nelle principali vie del paese, e per la produzione di artistici tappeti d’artigianato locale.