Surrealismo

Nel 1919, nella rivista francese dal nome “Litterature” venne pubblicato il testo, a firma di Breton e Soupault, dal titolo “I campi magnetici”, nel quale si parlava di “scrittura automatica”. Si trattava di un principio compositivo applicabile in poesia destinato ad avere echi anche nell’arte grafica e pittorica. Tale principio si basava sulle potenzialità di utilizzo dei meccanismi inconsci e su una idea di creazioni di immagini, sia poetiche che pittoriche, sganciate dai sistemi di controllo dell’essere razionale.
Alla pubblicazione del Manifesto del Surrealismo, redatto anch’esso da A. Breton nel 1924, nel quale il poeta esplicitava le sue teorie, seguirà la prima applicazione nel campo delle arti visive della “scrittura automatica” da parte di A. Masson, che eseguì i primi disegni automatici. E’ noto che intorno agli anni Trenta del Novecento, si andava affermando la scienza della psicoanalisi, – in special modo quella di Freud- che, studiando l’influenza esercitata sul nostro comportamento dagli impulsi istintivi che si rivelano nei sogni, influenzerà anche il variegato mondo culturale dell’epoca.
Lo studio della psicoanalisi costituirà pertanto una spinta non indifferente alla creazione di opere di carattere surrealista. Il Surrealismo riprendeva e sviluppava la ricerca iniziata dal Simbolismo, che vedeva nell’immagine non la rappresentazione della realtà, ma la rivelazione di tutto ciò che sfugge al mondo della ragione.  Si voleva cioè rappresentare la realtà interiore dell’uomo, quella appartenente alla sfera dell’inconscio. Le opere di pittura e di scultura, miravano così alla creazione di un mondo fantastico, che contemplava nell’inverosimile la fusione di realtà e sogno.
Per realizzare le loro opere, i surrealisti adottarono anche nuove tecniche come quella del “frottage”, che si ricollegava alle esperienze condotte nell’ambito del Dadaismo, da cui il surrealismo aveva preso quella certa tendenza dissacrante. Tecniche come quella del rayogramma e della solarizzazione tendevano a formare immagini imprevedibili, che favorivano la creazione della scrittura automatica. Il collage e il fotomontaggio volevano raggiungere l’obiettivo di realizzare delle immagini assurde ottenute attraverso un diretto intervento sul materiale. 
La prima mostra realizzata dai pittori surrealisti ebbe come titolo: “La pittura surrealista” e si svolse già nel 1925. Principali protagonisti dell’evento furono De Chirico, Ernst, Mirò, Arp, Masson, Klee, Picasso e Man Ray. Magritte e Dalí aderirono poco dopo alle tematiche surrealiste distinguendosi come gli esponenti più rappresentativi della corrente pittorica.
Magritte, nato a Lessines nel 1898, in Belgio, è uno dei più emblematici esponenti della corrente del Surrealismo. Egli altera nelle sue opere i rapporti di scala, sovverte i principi prospettici e le costruzioni logiche, crea immagini dalla forte carica emotiva, con soggetti autonomamente verosimili ma che nel contesto, curato nei minimi particolari, diventano assurdi, scomposti, surreali. La sua storia personale indurrebbe a pensare che determinante per la sua formazione e per la sua scelta artistica, possa essere stata la tragica morte della madre, avvenuta quando lui aveva solo 13 anni. Questa possibile relazione però Magritte la negò sempre. Sebbene facesse parte dei surrealisti Magritte, conservava un atteggiamento fortemente scettico verso il mondo della psicoanalisi, tanto da affermare che la sua arte in fondo non esprimesse nulla di personale, ma il mistero della realtà. Negava quindi le tesi di coloro i quali, tentando di decodificare quei fattori arcani insiti nelle immagini da lui create, volevano necessariamente vedere un collegamento tra la tragica esperienza da lui vissuta nell’adolescenza e i suoi quadri.
Prossimo alla fine della sua vita (che avvenne nel 1967), Magritte affermava relativamente all’opera realizzata nel 1965 dal titolo “La firma in bianco”: “Nella firma in bianco la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta. Tuttavia il nostro pensiero comprende tutti e due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero”. Se così è, è possibile intuire dalle sue ultime creazioni, il suo testamento spirituale. “L’uomo con la bombetta”, del 1964, ci mostra un uomo che ha il viso occultato da una colomba. La colomba appare anche nel quadro del ’63 dal titolo “La grande famiglia”. Una colomba che domina il mare… la cui sagoma pare rischiarare il cielo. Ma da una attenta osservazione ci si accorge che non vi è corrispondenza tra le nuvole dipinte all’interno della sagoma della colomba e quelle che appaiono nel cielo di sfondo. Staccandosi, la colomba avrebbe dunque rivelato un altro cielo, e non svelato quello esistente. Anche qui la colomba è dunque un oggetto sovrapposto, come nella raffigurazione dell’uomo con la bombetta. Il cielo è dunque l’essenza stessa della colomba che qui è chiamata a rappresentare la grande famiglia. La famiglia cui tutti apparteniamo, immagino… il genere umano. L’uomo con la bombetta, in questo accostamento, sembrerebbe quindi poter rappresentare il genere umano, la sua incapacità di comunicare e quindi di liberarsi dal dolore.
Altro personaggio simbolo del surrealismo fu senza dubbio Dalì: la personalità espressiva più geniale e trasgressiva del movimento. La sua personale esperienza artistica anzi, giunge a comportamenti limite che fanno di lui un personaggio unico, distaccato dagli altri. In Dalì vi è come una completa identificazione dell’uomo con il suo genio creativo. Le sue attività preludono a comportamenti che saranno propri di alcuni sviluppi successivi dell’arte contemporanea, specie per quanto riguarda il particolare rapporto fisico ed emotivo che lui riuscì ad instaurare con la sua opera, durante la realizzazione. Amava sostenere: “L’unica differenza fra me e un pazzo è che io non sono pazzo”. Così includeva nel suo essere, tutte le prerogative dell’agire di un pazzo, ivi comprese quelle che lo portavano a negarlo. Naturalmente Dalì non era pazzo, ma si compiaceva nel definirsi un essere fuori dal comune. Nelle opere di Dalì per prima cosa tutti osservano i soggetti rappresentati. Spesso assurdi, inquietanti. Ma se è vero che le sue allucinazioni dipinte altro non sono che immagini desunte dal suo vissuto onirico, è anche vero che un particolare rilievo lo assumono attraverso il contrasto con gli sfondi appartenenti ai suoi dipinti.
Probabilmente è interessante soffermarsi infatti anche sul carattere degli sfondi di Dalì, fatti di colori limpidi, paesaggi dalla nitidezza cristallina. Essi costituiscono l’elemento reale, desunto dai luoghi della sua infanzia, che conferma il senso di assurdità dei soggetti, che, privati di quel determinato sfondo, non sortirebbero gli effetti cercati. Nato a Figueras in Catalogna nel 1904, da una famiglia borghese e benestante che possedeva una casa a Cadaqués, piccolo villaggio di pescatori sul mare. Chi conosce Cadaqués può comprendere le atmosfere di straordinaria luminosità dei quadri di Dalì. E’ un paesino di case bianche, forti contrasti cromatici suggeriti dall’intenso blu di porte, finestre, e del mare. Le strade ripide, sono ricoperte da fitti ciottoli disposti a formare dei disegni, spezzate dall’inserimento qua e là di piante di tipo mediterraneo. Prima di lasciarlo in seguito ad un forte litigio avuto con il padre, Dalì depose i suoi capelli appena tagliati sulla spiaggia e lì li seppellì. Dalì, ebbe con il padre sin dalla giovane età un rapporto talmente tormentato, da dovere rompere con lui ogni contatto per tantissimi anni.
Port Lligat, poco distante conserva ancora oggi la casa di Dalì, che si distingue per una curiosa decorazione sul tetto. Una casa che crebbe da un nucleo originario per successiva aggregazione di spazi altrimenti recuperati, accrescendosi quasi come un organismo vivo. Qui Dalì concepì le sue opere più importanti (fra le quali “La persistenza della memoria”), che vennero esposte per la prima volta nel 1931. Era stato Mirò ad introdurre Dalì nel gruppo dei surrealisti parigini.
Era il 1929. A Parigi il gruppo soleva ancora riunirsi presso il caffè “Le Cyrano”. La cosiddetta fase storica del Surrealismo si concluderà in corrispondenza della II guerra quando, in seguito ai suoi eventi, molti artisti si trasferirono e il centro della corrente surrealista, che fin ora era stato Parigi, divenne New York.
Nel 1941 una importante mostra svoltasi al MoMA comprendente molte opere di Dalì, consegnerà il surrealismo alla sua storia, non ancora per altro del tutto estinta nei suoi esiti molteplici. Successivamente Dalì produsse opere che segnalarono una evoluzione del suo linguaggio verso nuove esplorazioni dell’animo. Uno dei più noti è il “Cristo di San Giovanni della Croce” del 1951, dove in una prospettiva aberrata nell’immensità di un cielo scuro, è sospeso un Cristo in croce. Sotto, un paesaggio di mare, con una barca alla spiaggia, i monti sullo sfondo suggeriscono le sue amate rocce, pochi i personaggi, isolati. Il mare fermo, sembra riflettere il cielo, ma questa volta i colori, a parte quell’azzurro tra le nuvole, sono oscurati dal predominante tono del nero.