High Tech

Già dagli anni ’60-70 si è assistito in campo architettonico ad una graduale sostituzione di quei principi che da sempre avevano fatto parte integrante di un oggetto architettonico e alla materialità, al peso delle strutture, alla loro opacità, si è via via in molti casi contrapposta la leggerezza e la flessibilità di elementi immateriali. Il valore di una architettura si è cominciato ad attestare nella capacità di esprimere messaggi, di essere in relazione con l’esterno e di essere tecnologicamente all’avanguardia.
Una certa tendenza ha voluto inoltre che in qualche caso, i messaggi divenissero sempre più metaforici, ed i progettisti hanno costruito complessi sistemi di rimandi concettuali, in cui impianti e tecnologia sono stati utilizzati per comunicare sia nel senso teorico che pratico del termine. Così la comunicazione, che rimanda alla dinamica dei flussi, è diventata prerogativa dell’architettura non meno della firmitas in passato e concetti come quelli di flessibilità, fluidità, interattività hanno cominciato a far parte integrante dei progetti.
L’introduzione di sofisticati sistemi “intelligenti” supportati da tecnologie eco-sostenibili hanno inoltre notevolmente amplificate le possibilità di ricorrere in architettura ad integrazioni di tipo altamente tecnologico. Si è così avviato un processo di esteriorizzazione di ciò che generalmente aveva costituito la parte nascosta di una architettura (vedi impiantistica a vista, esibizione degli attributi tecnologici, ecc…) che non si è ancora esaurito. La facciata dell’edificio è concepita come una membrana più o meno trasparente, interagente con l’esterno. L’edificio diventa un po’ come un testo che si costruisce in relazione alla capacità di inserirvi delle interconnessioni ipertestuali. Con il portare fuori da sé i concetti che l’hanno generata, il progettare diventa un “proiettare” che aumenta la capacità dell’edificio di rendere il fruitore parte attiva dell’opera (proprio attraverso gli stessi meccanismi che lo possono vedere coinvolto in un’opera d’arte interattiva).
Un esempio è il Beaubourg di Renzo Piano a Parigi, con la sua struttura rivoluzionaria per quei tempi, o il più recente Institut du Monde Arabe di Parigi, che è stato dotato di un meccanismo fotosensibile di oscuramento interno, che lo fa reagire quasi organicamente alle condizioni di luminosità esterne. Jean Nouvel, l’architetto francese autore del progetto dell’Institut du monde Arabe – concluso nel 1987, è il principale esponente della High tech francese. Noto per l’avere sostenuto che “un edificio deve saper comunicare le inquietudini di un epoca”, in realtà possiede idee che probabilmente più di questa meritavano di essere divulgate. Per esempio sostiene che l’arte faccia inevitabilmente parte della nostra vita, per questo ci lasciamo influenzare da essa anche quando si tratta di progettare cose puramente scientifiche. Nonostante ciò afferma che la forma in un edificio è importante, ma non precede il progetto. Il problema della forma viene all’interno di un processo progettuale, affrontato dopo.
Ogni volta si deve infatti costruire qualcosa di nuovo, che derivi dal contesto nel quale si è chiamati ad intervenire. Elementi fondamentali da considerare in fase progettuale sono luce e materia.
Nell’Institut fa uso molto attento del dettaglio e agli elementi tecnologici e utilizza le più avanzate tecniche aderenti alle tematiche bioarchitettoniche per rapportare all’ambiente la sua struttura come una sorta di organismo. Successivamente alla nota opera parigina riceve l’incarico per molti progetti importanti fra cui la ristrutturazione dell’Opera di Lione e il Centro congressi di Tours. Nel progetto della Torre infinita, un cilindro di vetro spinto nell’alto del cielo di Parigi, ipotizza un grattacielo di 420 mt. alla Defense.
Contrario al concetto di autonomia disciplinare dell’architettura come insieme di regole stabilite, e avverso alla utilizzazione di tipologie fisse e all’autonomia dell’oggetto architettonico (che a suo dire hanno dato origine a delle astronavi), Nouvel si è augurato che le amministrazioni locali potessero sempre potere fare gestire il progetto in rapporto al loro contesto in modo che l’oggetto architettonico possa essere sempre posto in rapporto dialettico con il luogo.